“Ritorno ad Haifa” ed “Umm Saad” di Ghassan Kanafani

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“Ritorno ad Haifa” ed “Umm Saad” sono considerati fra i capolavori di Ghassan Kanafani, imprescindibili per comprendere appieno la tragedia palestinese

“Ritorno ad Haifa” ed “Umm Saad”, due storie palestinesi

Capolavoro di Ghassan Kanafani, “Ritorno a Haifa” viene riproposto in una nuova veste insieme con “Umm Saad”, romanzo breve, poco noto ma non meno rappresentativo dell’opera del grande scrittore palestinese. “Ritorno a Haifa” ci parla, per la prima volta, di due diaspore: quella palestinese e quella ebraica, accomunate da un unico destino. Said torna con la moglie nella sua città per rivedere la vecchia casa, ora abitata da una famiglia di ebrei polacchi scampati ad Auschwitz. Sono trascorsi vent’anni dalla nascita dello Stato d’Israele, dalla nakba palestinese e dall’esilio. Lo scrittore ci accompagna in un viaggio che scava nella memoria, dove riaffiorano il disagio e la tristezza di una duplice tragedia resa con grande umanità e forza emotiva.

Kanafani

Nel secondo romanzo l’autore rievoca l’indimenticabile “Umm Saad”, la madre di Saad, che diventa figura mitica e simbolo stesso della questione palestinese, simile per la sua grandezza alla Madre Coraggio di Brecht e alla Madre di Gorkij. Come scrisse trent’anni fa il grande arabista Francesco Gabrieli, a proposito del conflitto arabo-israeliano, “per l’avvenire; per il passato e il presente, è giusto non vada perduta la nostra coscienza e conoscenza di tanto umano travaglio, che queste pagine per la parte araba riflettono”.

“Ritorno ad Haifa”, la tragedia nel ricordo

Lessi “Ritorno ad Haifa” ed “Umm Saad” per la prima volta nell’ormai lontano 2014 e devo dire che, anche a distanza di tanti anni, riesce a portare il lettore nello sguardo palestinese e fargli comprendere fino nel proprio intimo quale sia la tragedia di questo popolo. Kanafani non racconta tanto la guerra o la violenza in sé, ma il profondo ed incurabile dolore dell’esiliato che ritorna al luogo ed agli affetti che ha perduto; qualcosa di silenzioso e straziante e che il vero e proprio centro del dramma palestinese. Ciò che sta accadendo in questi giorni è infatti terrificante, ma è tutto consequenziale alla Nakba, il “disastro” del 1948 che ha portato circa 750’000 a vivere in eterno esilio.

“Cominciarono a salire su per le scale, non dando alla moglie e nemmeno a sé stesso quelle piccole cose che – lo sapeva – lo avrebbero commosso, facendogli perdere la calma ed il controllo di sé: il campanello, il pomello d’ottone della porta, gli scarabocchi di matita sul muro, il contatore dell’elettricità, il quarto scalino rotto nel mezzo, il liscio corrimano arrotondato su cui la mano scivolava facilmente, le finestre delle griglie di ferro intrecciato, il primo piano dove abitava Mahgiub al-Saadi che lasciava sempre la porta socchiusa. I bambini ci giocavano, davanti a quella casa, e riempivano le scale delle loro grida.

Ora quella porta di legno era chiusa, verniciata da poco, ma inesorabilmente chiusa.”

In “Ritorno ad Haifa” il ricordo ferisce più di pistole e bombe, proiettando costantemente ciò che era e che sarebbe dovuto continuare ad essere su quella che invece è l’effettiva e tragica realtà delle cose; osservare la felicità che sei stato costretto ad abbandonare di punto in bianco, riscoprendo dopo 20 anni che quasi nulla è cambiato, se non che ciò che hai davanti non ti appartiene più, qualcosa di davvero devastante.

Il più grande dei carnefici è chi dimentica il suo passato

De facto, l’antagonista è più il fato che un reale personaggio in quanto anche gli israeliani (sia di origine araba che ebraica) non sono mai rappresentati come veri e propri “malvagi per natura”, ma come dei soggetti colpevoli della passività con cui accettano l’attuale condizione di carnefici dopo esser stati vittime; una signora scampata da Auschwitz, un bambino abbandonato nella culla, un ex combattente in cerca di casa, nessuno di loro è “cattivo perché cattivo”, ma in quanto accetta la sua condizione attuale passivamente dimenticando il passato e facendo di tutto per consolidare la propria posizione, costi quel che costi.

“Mia moglie domanda se è stata la nostra vigliaccheria a darti il diritto di essere così; lei, come vedi, ammette ingenuamente che siamo stati dei vigliacchi. E, forse, su questo hai ragione, ma ciò non ti giustifica affatto. Un errore sommato a un altro errore non dà il risultato giusto; e se le cose fossero così, allora quello che è successo ad Efrat e Miriam ad Auschwitz sarebbe stato giusto?

Quando la smetterete di approfittare delle debolezze e degli errori degli altri? Queste vecchie parole sono già logore, queste equazioni sono cariche di inganni… Una volta dite che i nostri errori giustificano i vostri, un’altra che all’ingiustizia non si pone rimedio con una nuova ingiustizia… Vi servite del primo ragionamento per giustificare la vostra presenza qui, e del secondo per evitare le conseguenze di ciò che avete fatto. Mi pare che ve la spassiate un mondo con questo gioco divertente, ed ecco che anche tu cerchi di nuovo di fare della nostra debolezza il tuo cavallo di battaglia…

No, non ti voglio parlare come se tu fossi arabo, ora più che mai so che l’uomo vive per la propria causa, e non per il sangue e la carne ereditati di generazione in generazione, e non è come carne in scatola comprata in un negozio. No, ti parlo perché penso che in fin dei conti sei un essere umano; sei un ebreo o quello che vuoi, ma devi capire come stanno le cose…
Io so che un giorno capirai queste cose, e ti renderai conto che il delitto più grande che possa commettere un uomo, chiunque esso sia, è quello di credere anche solo per un istante che la debolezza e gli errori degli altri diano il diritto di esistere a spese loro e di giustificare i propri errori e i propri crimini…”

Proprio la scelta di rendere “umani” gli israeliani ha costituito una pietra miliare della letteratura palestinese e molti si chiedono dove sarebbe oggi il dialogo fra israeliani e palestinesi se Kanafani non fosse stato assassinato dal Mossad ad appena 32 anni.

“Umm Saad”, l’anima indomita della Palestina

In “Umm Saad” abbiamo invece una situazione completamente diversa, con la scena che si sposta nei campi profughi palestinesi della Cisgiordania concentrandosi soprattutto su Umm Saad, personaggio realmente incontrato da Kanafani e che diventa il prototipo della “madre contadina” del popolo palestinese. Una donna energica ed orgogliosa, così profondamente legata dall’essere pronta a tutto pur di non abbandonare il sogno di tornare nella sua casa.

“”E ora che farà Saad? Non era meglio se usciva di prigione?”
Si interruppe, mi guardò con quel suo sorrisetto agli angoli della bocca, e proseguì:
“Bene! Tu che non sei in prigione, che cosa stai facendo?”.
I giornali gettati per terra; la radio, che avevo lasciato accesa tutta la notte, cominciò a trasmettere le notizie. Umm Saad guardava ora verso di me, ora verso la radio e, mentre spostava lo sguardo da una parte all’altra, le sue occhiate mi sembravano sbarre di ferro che le mie mani non riuscivano a scuotere. Alla fine disse:
“Ma non ti pare che siamo in prigione anche noi? Che altro facciamo nel campo, se non camminare all’interno di questa incredibile prigione? Prigioni ce ne sono di ogni genere, ragazzo mi8o, di ogni genere! È una prigione il campo, è una prigione la tua casa, è una prigione il giornale, è una prigione la radio e anche l’autobus, la strada, e gli occhi della gente… È una prigione la nostra età e anche gli ultimi vent’anni. E il mukhtar, è una prigione anche lui. E tu mi vieni a parlare di prigioni? È tutta la vita che sei in carcere. Ti illudi, ragazzo mio, se credi che le sbarre dietro cui vivi siano vasi di fiori. Prigione, carcere, gattabuia. Tu stesso sei una prigione. E perché allora credete che sia Saad il prigioniero? Lui è dentro perché non ha firmato una carta con cui si impegnava a “comportarsi bene”… Comportarsi bene? Chi di voi si comporta bene? Avete tutti firmato una carta e, malgrado questo, siete lo stesso in prigione”
[…]
“Da retta a me… Tanto lo so che Saad uscirà di prigione! Da tutte le prigioni, lo capisci?””

Altro tema imperante nel racconto è poi il suo rapporto con il figlio Saad, diventato un guerrigliero della resistenza per provare a dare un futuro alla sua gente ed alla sua famiglia. “Umm Saad” e, soprattutto, “Ritorno ad Haifa” sono due racconti davvero irrinunciabili per chi desidera comprendere davvero il dramma palestinese e non posso che consigliarveli caldissimamente.

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