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“Palestina” di The Passenger è un’opera a metà fra un libro ed una rivista che, attraverso articoli e reportage, è in grado di farvi scoprire cosa voglia dire essere palestinese oggi
Palestina di The Passenger
«Unisci i puntini per riconoscere il mostro» suggerisce Amira Hass, giornalista israeliana trapiantata in Cisgiordania, in una lucidissima analisi dell’occupazione delle terre palestinesi conquistate da Israele nel 1967. Se la frammentazione dello spazio fisico con muri, strade, insediamenti e posti di blocco è parte integrante della strategia usata dallo stato occupante per tenere la Palestina sotto il proprio controllo, è attraverso l’accumulo e la giustapposizione di storie individuali e collettive che la sofferenza e i danni inflitti vengono fuori in tutta la loro entità. I puntini da unire in questo volume sono cronache di vite palestinesi: a Ramallah, a Gaza, a Gerusalemme, a Jenin, a Hebron, in Israele, nella diaspora. Raccontano modi diversi di vivere l’occupazione e di resisterle: c’è chi, ritrovandosi coloni israeliani nella propria casa, la sente sulla propria pelle ogni giorno e chi, costretto all’esilio, ne perpetua il ricordo nella memoria e nella letteratura.

Ci sono le donne che alle pene dell’occupazione devono aggiungere quelle di una società conservatrice e ultrapatriarcale. C’è una generazione che ha conosciuto la speranza di una possibile soluzione del conflitto, e un’altra – gli oltre due terzi della popolazione palestinese che ha meno di trent’anni – che alla firma degli Accordi di Oslo nel 1993 non era ancora nata e per tutta la vita ha conosciuto solo l’occupazione e il soffocante governo sempre più autoritario (e sempre meno efficace) dell’Autorità nazionale palestinese, per non parlare di quello di Hamas a Gaza. C’è chi si è rassegnato, chi è fuggito e chi, per scelta o necessità, è rimasto e resiste. E se l’occupazione israeliana è il contesto obbligato, la ricchezza dell’esperienza umana e l’individualità delle voci e delle situazioni che animano questo paese frammentato rappresentano il tratto che unisce i puntini: disegnando sì un mostro, ma in negativo, mettendo cioè in risalto il coraggio di chi resiste, la capacità di reagire quotidianamente al trauma individuale e collettivo, la pazienza, la forza e l’ostinazione che essere palestinesi comporta.
La Palestina a 360°
Appena è scattata la controffensiva israeliana ho capito che questo numero di The Passenger dovevo prenderlo e mai scelta si è rivelata più azzeccata. Mi occupo di Palestina da circa il 2014 ma, non essendo l’unico paese che tratto, tante cose spesso e volentieri tendono a finire nel dimenticatoio e su mille altre sono ancora estremamente ignorante; ecco: questo numero di The Passenger è in grado di portare al lettore una sintesi estremamente chiara, completa e schietta di tutto ciò che i palestinesi sono stati costretti a subire dall’alba del sionismo ad oggi.

Se bene o male tutti abbiamo una vaga idea di ciò che è accaduto a livello storico (la Nakba del 1948, la disfatta del 1967 e i famigerati Accordi di Oslo), nessuno può comprendere cosa voglia dire vivere sotto un regime di apartheid che quotidianamente umilia ogni palestinese e l’umanità intera. Se oggi ci è sempre più chiaro che Gaza, come afferma lo storico israeliano Ilan Pappè, è “Il carcere più grande del mondo”, non tutti si ricordano quanto per un palestinese della Cisgiordania sia difficile anche solo vivere e passeggiare nel proprio paese con uno stato occupante che ogni giorno prova a rubarti la terra e la dignità con espropri arbitrari e la costruzione di insediamenti illegali; oppure, giusto per dire una “stupidata”, quanti sanno che in Israele i “matrimoni misti” sono fuorilegge? Grazie all’intenso e costante lavoro di giornalisti, scrittori e fotografi palestinesi, israeliani e siamo finalmente in grado di unire i puntini e smascherare questo mostro che da ormai più di 70 anni porta il germe dell’ingiustizia nel mondo.
“Tutte le stagioni della tragedia, tutte le tappe della catastrofe”
Sotto trovate tutti gli articoli presenti in “Palestina” di The Passenger, però prima di concludere ci tengo come al solito a sottolineare una cosa e per farlo citerò Darwish:
“[…]Perciò!
Da “Carta d’identità” di Mahmoud Darwish
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!”
Questo per dire che io, così come la netta maggioranza dei palestinesi, non ho alcun odio verso gli ebrei e, anzi, credo che l’unica soluzione possibile per una pace vera e duratura sia quella di un unico stato con due anime; chiaramente, però, questo non impedisce né a me né a nessun altro di esprimersi contro gli innumerevoli e disumani crimini che lo stato israeliano sta compiendo da anni verso il popolo palestinese. Non è mai autodifesa bombardare deliberatamente i civili, le scuole e gli ospedali, non è mai autodifesa togliere acqua, cibo, energia elettrica e carburante ad un’intera popolazione, non è mai democratico uno stato che spara deliberatamente sulla Croce/Mezzaluna rossa, uccide giornalisti e impedisce ad un popolo di avere pari diritti di fronte alla legge. Tutto questo va denunciato continuamente perché è solo risolvendo questi atavici problemi con giustizia ed onestà che il mondo ed il popolo ebraico troveranno finalmente la pace, tutto il resto sono chiacchiere buone solo a posticipare il problema ed alimentare tensioni.
- ” In cammino verso Gerico” di Raja Shehadeh: Raja Shehadeh amava camminare tra le colline intorno a Ramallah, ma l’espansione degli insediamenti israeliani ha limitato drasticamente il suo raggio d’azione.
- “Unisci i puntini per riconoscere il mostro” di Amira Hass: Il piano per spezzettare e saccheggiare la Palestina va avanti da decenni, indipendentemente dall’orientamento dei governi israeliani e sotto gli occhi di tutto il mondo. È fatto di vessazioni quotidiane, leggi discriminatorie e tanti piccoli e grandi soprusi, giorno per giorno, anno per anno.
- “L’amore ai tempi di Qalandiya” di Taiye Selasi: Un viaggio nella vita notturna di Ramallah spinge la scrittrice Taiye Selasi a indagare su uno dei maggiori tabù: è possibile un amore tra israeliani e palestinesi?
- “Una prigione a cielo aperto” di Asma’ al-Atawna: Crescere a Gaza, uno dei luoghi più poveri e densamente popolati sulla faccia della Terra, in una società patriarcale, conservatrice e razzista, significa vivere in un immenso carcere. Dopo aver provato in tutti i modi a ribellarsi, una giovane palestinese ha fatto l’unica scelta che le restava: la fuga e l’esilio.
- “Un paese fatto di parole” di Elisabetta Bartuli: In mancanza di un vero stato palestinese, con milioni di rifugiati sparsi nei paesi limitrofi e in mezzo mondo, la letteratura è stata ed è un modo per elaborare i traumi e per affermare che palestinesi si nasce, indipendentemente dal luogo.
”Incideró il numero di ogni particella
della nostra terra rubata
e i confini del mio villaggio
e le sue case polverizzate
e i miei alberi sradicati
e ogni fiore schiacciato
per non dimenticare.Continuerò a incidere
Da “Il Pessottimista” di Emile Habibi
tutte le stagioni della mia tragedia
tutte le tappe della catastrofe
dal chicco
alla cupola
sul tronco di un olivo
nel cortile di casa”
- “Sheikh Jarrah: pulizia etnica a Gerusalemme” di Nour Abuzaid: Il gruppo di ricerca Forensic architecture ha composto una narrazione multimediale che ripercorre la battaglia legale di alcune famiglie di Gerusalemme Est contro gli espropri e le occupazioni abusive, all’insegna della resilienza e della solidarietà.
- “Una storia di resistenza” di Yumna Patel: Il campo profughi di Jenin è il simbolo della resistenza contro l’occupazione israeliana e il teatro di alcuni degli scontri più violenti. Tra gli edifici coperti di manifesti di martiri, la disillusione nei confronti del processo di pace e del governo sempre più autoritario dell’Anp porta molti giovani a imbracciare le armi.
- “Memorie di al-Khalil” di Widad Tamimi: La città di Hebron è uno dei pochi casi di convivenza tra palestinesi e coloni in Palestina. Tutt’altro che pacifica e paritaria, come testimonia la scrittrice Widad Tamimi, che ne ripercorre il presente e il passato attraverso i ricordi del padre.
- “La paura più grande” di Eleonora Vio: Con cinquantamila nuovi nati ogni mese, la Striscia di Gaza è sempre più affollata, ma questo non ferma il desiderio dei gazawi di fare figli per guadagnare legittimità, motivo per cui imbattersi in una coppia che ha tentato la fecondazione in vitro è comune quanto incontrare la famiglia di un martire o di un detenuto.
- “La guerra silenziosa di Israele contro i suoi cittadini palestinesi” di Ibtisam Azem: I cittadini palestinesi d’Israele sono alle prese con una piaga: la crescente violenza all’interno della propria comunità. Il caos che ne deriva sembra fare comodo allo stato israeliano.
- “La cucina palestinese e l’appropriazione culinaria israeliana” di Reem Kassis
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