“Il Pessottimista” di Emile Habibi

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“Il Pessottimista” di Emile Habibi è un romanzo che, attraverso tanta satira, realismo magico ed ironia, racconta molto bene cosa vissero quei palestinesi che decisero di rimanere nella propria terra anche dopo la nascita di Israele

“Il Pessottimista”

Ambientato ad Haifa, il romanzo ci racconta le straordinarie avventure di Felice, un arabo nello Stato d’Israele. Emile Habibi col suo stile sardonico, picaresco, brillante non risparmia nessuno: arabi, israeliani, progressisti, reazionari, falchi e colombe; facendo largo uso dell’allegoria e della parodia non perde il gusto di dire ciò che vuole.

Essere arabo-israeliani

Pubblicato integralmente nel 1974, “Il Pessottimista” di Emile Habibi è considerato a buon titolo uno dei libri più importanti di tutta la storia del romanzo arabo e questo tanto per lo stile ironico ed affilato di Habibi quanto per la sua ambientazione, davvero rara all’interno del panorama letterario arabo. Come abbiamo infatti già visto nella biografia dell’autore, quest’ultimo, allora 26enne, decise di non fuggire dalla propria terra, andando così a formare il partito comunista israeliano che, anche grazie al suo essere anti-sionista, divenne un faro per tutti gli arabo-israeliani, fra cui lo stesso Mahmoud Darwish, che viene anche citato ne “Il Pessottimista”.

Emile Habibi

L’intero libro è de facto una riflessione scherzosa e piena di humor nero riguardo a cosa voglia dire essere arabo in Israele, mettendo in luce le migliaia di situazioni paradossali che quest’ultimi sono costretti a vivere e sopportare, non potendo essere considerati né dei “veri palestinesi” né dei “veri israeliani”. Una piccola gemma che, pur avendo una trama non sempre lineare e non risultando sempre di facile comprensione, è giustamente considerato uno dei migliori romanzi arabi del “900, rappresentando una tappa unica nel suo genere per chi vuol scoprire davvero le sfumature della catastrofe palestinese.

2 citazioni

“”Incideró il numero di ogni particella
della nostra terra rubata
e i confini del mio villaggio
e le sue case polverizzate
e i miei alberi sradicati
e ogni fiore schiacciato
per non dimenticare.

Continuerò a incidere
tutte le stagioni della mia tragedia
tutte le tappe della catastrofe
dal chicco
alla cupola
sul tronco di un olivo
nel cortile di casa”.

Fino a quando il poeta dovrà incidere mentre gli anni dell’oblio continuano a scorrere cancellando tutto? Quando si potrà leggere ciò che è scritto sul tronco dell’olivo? Ed è poi rimasto un olivo nel cortile di casa?”

Emile Habibi
Emile Habibi

“[…]- Che Iddio me ne guardi, Signore. Nessuno può precederti in questo privilegio. Anzi, trovo che nelle Vostre prigioni, secondo quel che Voi mi avete spiegato dei principi del retto comportamento, si gode di alto grado di umanità e di pietà nel trattamento, al punto che, nei nostri confronti, non c’è differenza fra come ci trattate dentro e come ci trattate fuori. Non c’è proprio differenza. Ma allora come punite quegli arabi che sono criminali, Signore?

– È questo che ci imbarazza. Ed è per questo che il nostro “allof”, cioè il nostro generale, e ministro, ha detto che la nostra occupazione è la più misericordiosa sulla faccia della terra da quando il paradiso terrestre fu liberato dall’occupazione di Adamo ed Eva. Inoltre, secondo alcuni nostri pezzi grossi, trattiamo gli arabi all’interno delle prigioni meglio di come li trattiamo fuori, e fuori il trattamento è eccellente come ben sai! Questi pezzi grossi sono convinti che in questo modo li incoraggiamo a continuare la resistenza alla nostra missione civilizzatrice nei territori nuovi, esattamente come quei cannibali africani, che hanno rinnegato il benessere.

– Come sarebbe a dire, Grande Maestro?

– Guarda, ad esempio, la punizione della deportazione al di là del fiume. Questa gliel’assegnamo quando sono fuori dalla prigione, ma se ci entrano, in prigione, qui mettono radici come ha fatto l’occupazione inglese.

– Splendido!

– Fuori dalla prigione buttiamo giù le loro case e dentro, invece, quelli edificano e costruiscono.

– Splendido! Ma cosa costruiscono?

Nuove prigioni, delle nuove in prigioni vecchie, e intorno ci piantano alberi per dare ombra.

– Splendido! Ma perché fuori dalle prigioni buttate giù le case?

– Per sterminare una volta per tutte i topi che ci hanno fatto la tana, così salviamo la gente dalle epidemie.”

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