This article is also available in:
English
“La più piccola” di Fatima Daas è un testo autobiografico che parla di una ragazza lesbica e musulmana che mi ha colpito particolarmente da vicino
La più piccola
Non un romanzo d’esordio ma un libro liturgico, non un diario intimo ma una confessione, un canto, una preghiera. “Mi chiamo Fatima”, così comincia ogni capitolo de La più piccola; talvolta, al nome, l’autrice alter ego della protagonista, aggiunge il cognome: “Mi chiamo Fatima Daas”. E via via arricchisce di dettagli la sua biografia.
Fatima Daas, la mazoziya, la più giovane della famiglia, quella che avrebbe dovuto essere un maschio come Ahmad, suo padre, aveva sperato. Le sue due sorelle sono nate in Algeria. È l’unica a essere nata in Francia, con parto cesareo. Sua madre, Kamar, è una maestra nel suo Regno: la cucina. Ma soprattutto Fatima è musulmana, devota e schiava della sua religione. Religione nella quale vorrebbe trovare approvazione, un modo per essere accettata da omosessuale senza dover rinunciare alla fede.
Vi voglio bene
Sono principalmente due le motivazioni che mi hanno portato all’acquisto ed alla lettura di questo libro: volevo da fare da tempo qualcosa per il mese del Pride (tutto giugno) e perché sono sicuro, in parte anche perché mi è stato raccontato, che ci siano molte persone che condividono “condizione”, storia e pensieri, straordinariamente simili a quella di Fatima Daas. Inutile dire che per quest’ultimo motivo raccontare questo testo per me non è uguale a qualsiasi altro; ci leggo troppe situazioni, storie e pensieri che mi hanno fatto tornare in mente alcune mie conoscenze che mi hanno aiutato ad avvicinarmi (per quanto sia possibile per un uomo etero e cis) alla loro condizione, ai loro pensieri, ai loro dubbi ed a tutte le sofferenze che hanno nel cuore. Non è giusto che chi nasce diverso dagli altri debba subire tutto questo, siamo tutte creature di Allah/Dio ed è stato lui a scegliere come plasmarci, cosa farci pensare e cosa farci amare; è assurdo che una persona che nasce così debba essere sempre etichettata, è abominevole che queste etichette siano tanto pressanti nella loro testa da non permetter loro una vita normale ed essere sempre costretti a pensare come comportarsi, cosa dire e cosa mostrare. Casi come questo mi fanno venire alla mente quella frase di straordinaria grandezza che scrisse anni fa Mohsin Hamid, uno dei miei scrittori preferiti di sempre:
Le civiltà incoraggiano il fiorire delle nostre ipocrisie. E così facendo minano alla base l’unica promessa plausibile della globalizzazione, ovvero che saremo tutti liberi di inventare noi stessi. Perché, esattamente, un musulmano non può essere europeo? Perché una persona non religiosa non può essere pachistana? Perché un uomo non può essere donna? Perché una persona gay non può essere sposata?
Bastardi. Spuri. Mezzosangue. Reietti. Devianti. Eretici. Le nostre parole per dire l’ibridità sono spesso ingiuriose. Non dovrebbe essere così. L’ibridità non è necessariamente il problema. Potrebbe essere la soluzione. L’ibridità significa qualcosa di più che mera mescolanza tra gruppi. L’ibridità rivela che i confini tra i gruppi sono falsi. È questo è fondamentale, perché la creatività nasce dall’eterogeneità, dal rifiuto di una purezza mortifera. Se non ci fosse che un unico essere umano, la nostra specie si estinguerebbe.
“Le civiltà del disagio” di Mohsin Hamid
L’amore, peraltro, è il sentimento più puro che esiste ed anche solo pensare che si venga giudicati dal genere del proprio partner è qualcosa che mi fa stare male dentro, qualcosa che non dovrebbe esistere, ma che ancora è una piaga in molte parti del mondo, inclusa l’Italia, dove se dai un bacio a qualcuno del tuo stesso sesso rischi di essere picchiato in mezzo alla strada. Lo ammetto: un tempo anche io era uno di quelli che, seppur solo a parole, sfruttava gli omosessuali come capro espiatorio e come “collante” fra le altre religioni, ma ora me ne vergogno profondamente e capisco sempre di più quanto sia qualcosa di meschino, una cattiveria gratuita verso chi non ha alcuna colpa e magari sta già soffrendo perché magari vorrebbe solo essere accettata e “normale”.

Non posso dire di comprendere appieno la vostra situazione, ma vi voglio bene e proverò a facilitarvi il cammino; l’amore è sempre più sacro dell’odio. Specie in un momento come quello del Pride, dovete essere orgogliosi di chi siete e specialmente per due motivi: non c’è nulla di più bello e puro dell’amore e non siete solo questo. Definitevi come volete, ma glorificate anche la persona, glorificate anche il vostro percorso, la vostra vita e le vostre conquiste (ed il Pride, sia chiaro più che mai, è una conquista), glorificate il vostro amore, glorificate tutto il bene che fate in questo mondo; queste sono le cose che ama davvero Allah/Dio, non con chi andate a letto. Se lo farete, sarete orgogliosi di voi stessi e vi accorgerete che, in’sh’Allah, il bene che certamente fate e di gran lunga superiore al male che, secondo alcuni, potreste aver commesso. Vi voglio bene e vi sono vicino, spero di facilitarvi il cammino, in’sh’Allah.
Il testo
Tornando al testo, “La più piccola” di Fatima Daas è un testo molto particolare con uno stile ibrido fra poesia e prosa che permetterà al lettore di avvicinarsi ancor di più all’anima dell’autrice, entrando in contatto al meglio con i suoi pensieri, con la sua sofferenza e con la straordinaria delicatezza da lei utilizzata per raccontare la propria storia. Il lavoro della traduttrice, Giorgia Tolfo, è stato straordinario perchè restituisce perfettamente il ritmo e le sensazioni del romanzo originale, andando mostrare al meglio quello che è, come ci viene giustamente detto nell’introduzione, più una sorta di canto o di preghiera che un autobiografia. Qualcosa di unico che, frammento di vita dopo frammento di vita, ci accoglierà sempre di più nella testa e nel cuore di Fatima Daas, provando a comprendere davvero la pesantezza di tutto questo per una musulmana convinta. Una sorta di “confessione e di supplica” che credo e spero abbia alleggerito l’anima di Daas e che ora non aspetta altro che di essere letta.

Libro che mi ha sorpreso per la sua bellezza per quanto, grazie alle sue note delicate, sia in grado di risvegliare ancor di più la coscienza ed il cuore. Opera consigliatissima e che potrebbe finire nella top 2022, è di circa 170 pagine ma è talmente piacevole ed intenso che si può leggere nel giro di una mattinata.
Seguimi su facebook, Spotify, YouTube e Instagram, oppure sul canale Telegram; trovi tutti i link in un unico posto: qui. Ogni like, condivisione o supporto è ben accetto e mi aiuta a dedicarmi sempre di più alla mia passione: raccontare il Medio Oriente