Intervista con Pierre Jarawan

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Una piacevolissima intervista con Pierre Jarawan, una delle nuove firme più promettenti del panorama europeo e delle seconde generazioni, autore di “Là dove crescono i cedri” edito dalla casa editrice SEM, che ha anche organizzato la nostra chiacchierata. Foto di Emanuele Sosio

Intervista con Pierre Jarawan

Sabato 20 novembre 2021, in occasione del Bookcity milanese, ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Pierre Jarawan, autore di “Là dove crescono i cedri”, di “Song for a Missing” (ad oggi inedito in italiano) ed in generale una delle nuove firme più promettenti per quanto riguarda il panorama europeo e delle seconde generazioni.

Niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza il sostegno e la fiducia della casa editrice SEM, che fin da subito mi ha trattato in maniera splendida, accogliendomi come se ci conoscessimo da sempre, mostrandosi in ogni situazione sempre disponibile e propositiva. Non posso fare altro che ringraziarne tutti i membri dal profondo del cuore, sono una delle realtà editoriali più belle ed interessanti di Milano e sono lieto di dirvi che tutte le foto dell’intervista sono state scattate nella loro sede, un luogo davvero magico che ha contribuito a render ancora più bella l’intervista.

Pierre Jarawan

Grazie anche ad Emanuele Sosio perché con i suoi scatti ha reso giustizia a tale luogo permettendo a voi lettori di immergervi al meglio in questa meravigliosa atmosfera.

Venendo all’intervista: quella che trovate sotto in realtà è solo la traduzione, se siete interessati ad ascoltare l’originale (in inglese) vi basterà visitare il podcast o il canale Youtube di Medio Oriente e Dintorni. Il tutto uscirà il 26 novembre 2021 alle 07:45 in entrambi i formati, ma il file audio dell’intervista in sé sarà lo stesso, semplicemente nel video troverete l’introduzione e le foto presenti in quest’articolo. Buona lettura!

La chiacchierata

K: La prima domanda che voglio farti è se la storia raccontata in “Là dove crescono i cedri” si lega più al tuo passato o a quello di Kamil El-Hourani, personaggio citato nei ringraziamenti e che ha lo stesso cognome del protagonista. Questo lo chiedo soprattutto perché mi ha particolarmente colpito la parte in cui si tratta della depressione per profondità ed accuratezza, tanto che io stesso mi sono accorto di aver vissuto un periodo di depressione proprio leggendo questo libro.

P: No, l’opera è di fiction ma non puoi inventare nulla senza esserci venuto a contatto. Leggo, ascolto le storie e provo a scrivere qualcosa di nuovo. Non è la mio biografia e non è quella di Kamil El-Hourani, però devo dire che mi è stato davvero utile; tutta la parte riguardante l’hotel, ad esempio, è frutto dell’esperienza diretta di Kamil durante la guerra, però non è una riproposizione esatta e nel libro l’attribuisco al padre. Di mio ci sono soprattutto le sensazioni di Samir, il tipico ragazzo di seconda generazione. Le domande come “Qual’è la mia casa? La Germania o il Libano?” personalmente credo di essere nel mezzo e sono sicuro che tale sensazione sia tipica di ogni ragazzo di 2° generazione, non importa da dove vieni, è inevitabile provarla.

Pierre Jarawan

K: Ma nel libro in realtà non poni solo un modo di vedere questo aspetto, perché da una parte c’è Samir che si ritiene libanese, però c’è anche Yasmine che invece ha un approccio completamente diverso, tanto da definirsi tedesca piuttosto che libanese

P: Si esatto, volevo proprio mostrare questo doppio modo di intendere il rapporto con il paese di origine della propria famiglia, volevo mostrare anche questo aspetto e non è un caso che sia Yasmine, il personaggio più forte della coppia a scegliere di lasciar perdere il passato e concentrarsi sul presente.

K: Fra i due personaggi da chi ti senti più rappresentato sotto quest’aspetto?

Pierre Jarawan

P: Penso di essere entrambi, ma penso anche di esserlo perché sono due visioni che ho provato nel corso degli anni. Da giovane ero decisamente più simile a Samir, ogni anno volevo andare in Libano con la mia famiglia e lo ritenevo un vero e proprio paradiso. Le cose però sono iniziate a cambiare con l’assassinio di Hariri e la guerra con Israele. Lì mi sono detto “Ok, forse non è proprio il paradiso che avevo in mente, devo informarmi di più”; da quel momento la mia visione riguardo al paese è cambiata ma si è fatta decisamente più realistica. Adesso penso che il Libano sia un magnifico paese, ma che al contempo sia un caos.

K: Adesso ho due domande: la prima è più di stampo letterario, ovvero qual’è il romanzo che secondo te racconta meglio il Libano senza aver la necessità di “grandi approfondimenti”; la seconda invece è un po’ più lunga ed è: come vedi cambiato il paese da quando hai scritto il romanzo? Perché ormai sono passati 5 anni dalla prima pubblicazione (in tedesco è stato pubblicato per la prima volta nel 2016) e molte cose sono cambiate

Pierre Jarawan

P: Onestamente credo che questo sia uno dei migliori per comprendere questo paese, in quanto non ne racconta un unico momento, ma ben 30 anni e fra i più movimentati. Ci sono altri romanzi, ma tendenzialmente lo raccontano da libanesi che hanno vissuto in prima persona tali momenti e ciò fa sì che la narrazione sia sempre diversa e legata soprattutto alle vicende storiche che hanno coinvolto l’autore. Non è per far pubblicità al mio romanzo, ma credo che qui sia tutto più comprensibile in quanto ho riportato con precisione moltissimi dettagli, ad esempio i nomi delle varie milizie, per far sì che il lettore possa godersi qualcosa di leggero, con una bella storia, ma che possa comunque lasciargli qualcosa una volta terminato il libro di modo da aumentare anche le sue conoscenze. Con questo non voglio dire che gli altri siano da meno, anzi, dico solo che per chi è a digiuno di Libano questo credo sia più facilmente comprensibile rispetto al libro di un autore “bravissimo” ma che, avendo vissuto il tutto dal vivo, tende ad esser più specifico e dar per scontato molti dettagli.

K: Hai perfettamente ragione, infatti leggendolo mi sono accorto di tanti pensieri che, pur essendo autenticamente libanesi, appare evidente che siano originati da qualcuno che però non vive la quotidianità del posto e ciò gli consente di elaborare giudizi più accurati. Mahmoud Darwish ad esempio visse proprio a Beirut nel 1982, ma è chiaro che, per quanto sia bello il testo, la sua visione non può non essere influenzata da chi era e dal suo ruolo nella Storia.

P: Assolutamente. Tornando al discorso precedente, qual’era la seconda domanda?

Pierre Jarawan

K: Come pensi che sia cambiato il paese nel corso di questi 5 anni, perché personalmente credo che se c’è un momento in cui il Libano ed i suoi abitanti possono cambiare la propria storia è proprio questo. Ormai la politica è in stallo da parecchio tempo e sento che sempre di più i libanesi si sono accorti di esser un unico popolo, non importa di che fede, sei comunque e sempre libanese.

P: È un po’ complicato, nel paese ci sono stati molti cambiamenti, ma in un certo senso è sempre lo stesso. Per fare un esempio: la classe politica è sempre la stessa, gli stessi nomi e le stesse famiglie che hanno governato per decenni. Altra cosa che poi non è cambiata è il modo che tali soggetti hanno, o non hanno, di vedere il proprio passato; nessuno ha mai detto “Ok, abbiamo fatto tutti degli errori, ora però rimbocchiamoci le maniche e costruiamo insieme un nuovo futuro”. Allo stesso tempo però sono cambiate moltissime cose in peggio: l’economia, la corruzione sempre più forte e le condizioni di vita delle persone. Concordo: nessun momento è stato tanto brutto nella storia del Libano; però allo stesso tempo c’è una popolazione giovane che sempre di più chiede che si guardi al suo futuro.

Pierre Jarawan

K: Facciamo un salto nel romanzo e parliamo di Youssef: il suo pensiero a riguardo del Libano e lo stesso? E poi una domanda a proposito del padre di Samir, Abou Youssef: cosa ne pensi a riguardo? Perché secondo me non è proprio il prototipo di “buon padre” e non capisco se alla fine Samir lo perdona o no, perché a me pare più come se mettesse un punto alla vicenda, ma non ho capito bene dove pende il suo giudizio; non ho capito se è più contento di averlo comunque ritrovato o se è più arrabbiato per via del grande tradimento.

P: Non ho capito: la prima domanda è su Youssef?

K: Si, se il suo pensiero è lo stesso e se anche tu credi che scrivere un libro di storia unico per tutti i libanesi possa essere una chiave per risolvere le tensioni fra comunità.

P: Ok ora mi è più chiaro. Sfortunatamente questo gruppo non esiste, ma questa dal mio punto di vista era più che altro una metafora: costruire un passato sul quale tutti possiamo essere d’accordo e con il quale possiamo andare avanti. In Germania sappiamo molto bene cosa significa avere un brutto passato e abbiamo capito che è molto importante continuare a parlarne in modo da evitare che ricapiti in futuro; il problema è che ciò non accade in Libano. Non c’è un libro di storia in comune e non abbiamo una “storia comune”. Se chiedi ad un cristiano ti racconterà una storia completamente diversa da quella raccontata da un sunnita, uno sciita, un druso o qualsiasi altra confessione religiosa del paese. Quindi, per tornare a Youssef, credo che sia qualcosa di un po’ di naif ma è una convinzione davvero forte e solida ed è quello che ci vuole, qualcuno di davvero motivato a rimettere insieme i pezzi del passato per unire il presente ed andare avanti insieme. Non sono davvero convinto che un libro possa risolvere tutto, ma credo che possa sicuramente essere un primo passo.

Pierre Jarawan

Riguardo al padre, molte persone si sono arrabbiate, ma era questo il mio obbiettivo. Volevo che le persone dicessero: “Ok Samir, sono con te, andiamo a trovare tuo padre.”, ma quando arrivi al finale e lo hai effettivamente trovato, è il momento per dire “Va bene tutto, ma sono arrivato fino a qui per te, perché non ti sei mai fatto sentire in tutto questo tempo? Non una chiamata, non una lettera, nulla.”. Riguardo a ciò in realtà non ho una vera e propria risposta, se non che in questo caso è più importante il viaggio in sé rispetto alla fine del viaggio; questo ovviamente è un aspetto, l’altro è che molta gente non comprende l’importanza nel mondo arabo del primo figlio maschio. Forse nel Sud Europa ci si avvicina, ma nel mondo arabo è comunque qualcosa di ancor più intenso e viscerale; non a caso il padre nelle storie non si fa chiamare Abou Samir ma Abou Youssef.

K: Si, questa per me in realtà è stata la cosa più inaccettabile del padre perché le altre sono comunque comprensibili, ma questa è proprio una cattiveria, perché per tutto il tempo ha raccontato a suo figlio una storia in cui raccontava di un altro figlio e che da lui sarebbe tornato.

P: Si, ma è proprio qui che si scontra la visione tipica del Medio Oriente e quella tipicamente europea, perché un arabo avrebbe detto qualcosa tipo “Ma è ovvio, si chiama Abou Youssef ed è quello il figlio più importante”, mentre un europeo avrebbe avuto un altro tipo di reazione, ma ero questo ciò che volevo accadesse. Però hai ragione: non è un buon padre, è un codardo, avrebbe potuto fare almeno una chiamata.

Pierre Jarawan

K: Si, la chiamata sarebbe stata meglio, ma quello che dico è qualcosa di più sottile. La cosa che più mi ha fatto impazzire è che lui parla e racconta le storie al figlio ma per tutto il tempo sta pensando all’altro. È come se uscissi con una bella donna che ti ama ma tu, pur stando con lei, per tutto il tempo stai pensando ad un’altra; un po’ quello che fa lo stesso Samir all’interno del libro. Questo per me è peggio, perché vuol dire che tutto il tempo in cui siete stati assieme in realtà è come se stessi dicendo “Mmmh si, bello stare qui, ma come sarebbe meglio stare altrove”; alle chiamate o meno puoi trovare una giustificazione, a questo no.

P: Penso che tu abbia ragione e credo sia qualcosa di umano. Per la maggior parte del tempo la gente guarda alle uniforme, ai simboli, guardano l’immagine e vedono ciò che vogliono vedere, armi, guerra, ma la donna è nella foto e c’è perché non volevo scrivere una storia sul conflitto, ma sull’essere umano ed i suoi errori.

Pierre Jarawan

K: Facciamo un nuovo salto al generale. Di recente ho scritto un articolo riguardo al cedro libanese ed ho scoperto che, a causa degli incendi e del cambiamento climatico, ce ne sono sempre meno in Libano e mi piacerebbe avere il parere di un libanese riguardo a ciò. Il cedro non è una pianta normale, tanto che credo sia una delle uniche piante ad essere il simbolo principale di una bandiera.

P: Assolutamente, il cedro anche nel libro ha un ruolo speciale, tanto da rappresentare sia le radici sia dove cercare proprio queste radici. Personalmente non ho idea se questa cosa del cambiamento climatico sia presente o meno nelle menti dei libanesi, però ai ragione, nelle ultime estati poi ci sono stati dei nuovi grandi e violentissimi incendi; fortuna che riguardo a questo vi sono degli attivisti libanesi, ma credo che non sia il problema principale nella testa dell’autoctono medio, anche se quando sarà tutto andato si ricorderà cos’ha perso. Il cedro per noi è qualcosa di diverso, il cedro è il Libano; siamo in disaccordo su molte cose ma non sul fatto che il cedro sia la perfetta rappresentazione del paese.

Pierre Jarawan

K: L’unica cosa su cui i libanesi sono d’accordo è il cedro ed il non essere d’accordo.

P: Ahahaha, esatto.

K: Adesso sono curioso di qualcosa che non posso vedere in questo momento, perché voglio farti qualche domanda sul tuo nuovo libro, “Song for the Missing”, pubblicato per la prima volta nel 2020 ma ancora inedito in Italia. Le mie domande sono: questo libro ti rappresenta di più o di meno rispetto a “Là dove crescono i cedri”? Sai già quando verrà tradotto in italiano? Infine la più grande: di cosa parla? Perché leggendo un po’ ho capito solo che si svolge in Libano nel 2011 e che parla di alcuni ragazzi uccisi, ma per il resto non ci sono moltissime informazioni in giro ed ero curioso di scoprire qualcosina di più.

P: Ok, si chiama “Song for the Missing”, è stato pubblicato in Germania lo scorso anno e quest’anno è stato tradotto in inglese e pubblicato in Olanda e Francia. Penso che la decisione se pubblicarlo o meno in italiano dipenda dal successo di “Là dove crescono i cedri”, al momento non c’è alcun contratto, credo che siano interessati ma non so ancora bene. È un libro decisamente più politico rispetto a questo e parla di scomparse in Libano. Molta gente non sa infatti che ben 17’000 persone sono scomparse durante la Guerra civile senza lasciar traccia e che nessuno sa cosa sia successo loro; molto probabilmente sono morti, ma nessuno lo sa, sono usciti di casa e sono scomparsi.

Pierre Jarawan

K: Come i desaparecidos in Argentina.

P: Esatto, infatti è qualcosa che dico anche in “Song for the Missing”; sappiamo che cose simili sono successe in Argentina ed in alcuni paesi africani, ma nessuno sa che ciò è avvenuto anche in Libano. Il libro ha 3 timelines ambientate nel 2011, periodo in cui scoppiano le primavere arabe e la guerra civile siriana, è un periodo in cui tutto si fa più vicino al Libano e nel testo il protagonista ne approfitta per scrivere i propri ricordi del 1994, momento in cui si reca nel paese con sua nonna, incontra un altro ragazzo di nome Jafar che ha avuto un’esperienza simile alla sua ma diversa, in quanto il protagonista nasce in esilio in Francia e si trasferisce solo successivamente nel paese. Proprio per i temi trattati lo vedo come qualcosa di meno biografico e più legato alla politica ed alla denuncia di una storia che ancora oggi è piena di misteri.

K: Ricollegandoci a “Là dove crescono i cedri”, forse l’ho già fatta prima ma voglio riprovarci, vorrei sapere se credi che le persone possano e siano davvero interessate a cambiare il paese, perché i politici è chiaro che non siano interessati in quanto la situazione gli conviene, ma in diversi punti del libro appare invece evidente come alle persone tutto ciò non piaccia, anche se così è. Prima ti ho fatto una domanda simile ma mi hai risposto soprattutto riguardo a ciò che vuol fare la classe politica, a me interessa ciò che vuol fare il popolo, specialmente dopo le grandi proteste che hanno caratterizzato il paese nel periodo immediatamente precedente il Covid. Io ad esempio conosco due libanesi abbastanza importanti a Milano che, pur avendo due fedi diverse, sono grandi amici e, come Ibrahim ed Hakim nel romanzo, pongono maggior importanza sul fatto di essere libanesi piuttosto che alla loro confessione d’appartenenza. Personalmente credo che siano proprio le persone ed i legami come questo che possono permettere al paese di superare il Patto Nazionale, un qualcosa che è stato davvero fantastico per fermare il conflitto ma che oggi, secondo me, è una delle maggiori cause della paralisi politica all’interno del paese; in un certo senso con questo Patto è come se non avessero fatto la pace ma solo una sorte di tregua.

Pierre Jarawan

P: Penso di aver più chiaro tutto, se così non fosse non esitare a rifarmi di nuovo la domanda, per me non c’è nessun problema. Quello che abbiamo visto nelle proteste del 2019 credo che sia stato speciale, sono scesi in piazza tutti, specialmente le generazioni più giovani, e le proteste non erano rivolte verso una particolare confessione ma verso tutto il governo. Era qualcosa di molto simile a ciò che è avvenuto nel 2011 ma diverso, in quanto erano delle proteste contro tutto l’apparato politico e non verso una carica o una figura specifica. Non contava il credo, potevi essere cristiano, musulmano, druso o altro, tutti protestavano in quanto libanesi. Da questo punto di vista credo che il Covid abbia aiutato molto la classe dirigente perché fra i lockdown ed affini sono state completamente bloccate le proteste. Lì tutti hanno realizzato quanto la situazione fosse grave e si è iniziato a ragionare riguardo al fatto che il Libano è un piccolo paese, tutti siamo vicini di tutti e dobbiamo andar d’accordo per raggiungere i nostri obbiettivi ed andare avanti.

K: Hai visto queste proteste dal Libano o dalla Germania? Come cambia il modo di vedere le cose se sei a distanza o se sei lì fisicamente sul posto? Nel libro abbiamo una rappresentazione di qualcosa di simile quando Samir assiste alle proteste per la morte di Hariri dalla Germania; mi piacerebbe sapere come è quanto e diverso il modo di osservare la situazione, anche da un punto di vista psicologico

Pierre Jarawan

P: Sai, conosco moltissimi libanesi della diaspora, ma da nessuno di loro ho mai sentito il desiderio di tornare indietro. Tutti mi dicono che sono molto contenti di tornare per le vacanze, io stesso sono davvero contento di visitare la mia famiglia e mi sento libanese, ma allo stesso tempo sono molto felice quando lascio il paese. Per qualcuno è qualcosa di spiazzante, ma molti di coloro che hanno lasciato il Libano fra gli “80 e “90 erano convinti di tornare, salvo poi realizzare di non voler tornare per sempre. Mio padre, per dire, è emigrato in Germania, ma quando ha iniziato a trovarsi male in Europa non è tornato in Libano, è andato a vivere ad Abu Dhabi, un paese diverso, all’interno del mondo arabo, ma che comunque non è il Libano. Noi tutti guardiamo alla situazione del paese e ne rimaniamo scioccati, ma credo che stare distanti faciliti una visione più completa e pulita di ciò che accade; se sei a Beirut o in Libano sei più vicino, ma lo sei anche al caos, da lontano invece c’è sempre del caos, ma non lo vivi direttamente, hai il tempo di respirare e di digerire meglio il tutto. La cosa particolare, poi, è che ci sono molti più libanesi fuori dal Libano di quanti non ce ne siano al suo interno, soprattutto in Brasile, Canada ed Australia.

K: Senza contare poi l’Argentina o il Cile, il paese al mondo in cui ci sono più palestinesi cristiani.

P: In più fuori dal Libano sono tutti uomini d’affari.

Pierre Jarawan

K: Ahahaha, esatto. Bene io in realtà ho finito, è stato un vero piacere per me incontrarti e far questa chiacchierata insieme, il tuo libro mi è piaciuto davvero tanto e quest’anno lo metterò in una lista speciale dedicata alle sorprese del 2021; non pensavo che fosse tanto bello eppure mi ha stregato, ha qualcosa di diverso da tutti gli altri. Quest’intervista insieme è stata la ciliegina sulla torta ed è stato un vero onore per me, grazie davvero con tutto il mio cuore.

P: È un piacere mio, è stato un piacere incontrarti.

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