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Una piccolissima introduzione riguardo alla danza dei dervisci Mevlevi, modalità grazie a cui il rito del Sama è diventato ancor più popolare e noto nel mondo
Il Sama di Rumi
Prima di iniziare a parlare della danza in sé, tipica della confraternita Mawlawiyya, è necessario inquadrarla all’interno del mondo islamico e della sua funzione originaria, in quanto essa non è altro che una variante del Sama. Quest’ultimo è un termine che significa “audizione/ascolto”, e ciò è estremamente indicativo di ciò che va a rappresentare, ovvero non un semplice “ricordare”, come nel caso del dhikr, ma un vero e dialogo mistico con Dio, tanto che Gabriele Mandel Khan nell’introduzione del Masnavi lo definisce così: “Nel Sufismo indica “il concerto spirituale ritualizzato” che può indurre stati di grazia (âḫwâl), d’estasi (wujdud) o portare a disvelamenti spirituali.”
Il Sama, però, viene praticato in modi e forme estremamente varie e disparate all’interno dei vari ordini sufi ed è quindi necessario essere specifici quando si intende “proprio questo Sama”. Esso è quindi un rito volto ad indurre il praticante in uno stato estatico, simboleggiando così il viaggio mistico che dall’essere a Dio, nel quale il primo arriva a dissolversi nel secondo; a tal proposito il celebre sufi egiziano, Dhu al-Nun al-Misri disse: “Prima di compiere il viaggio credevo che le montagne fossero montagne ed i mari fossero mari; durante il viaggio scoprii che le montagne non sono montagne e che i mari non sono mari; ed ora che sono giunto so che le montagne sono montagne e che i mari sono mari”.
La danza dei dervisci Mevlevi
Il Sama dei dervisci mevlevi si svolge in una stanza divisa in due parti con una linea centrale, detta Equatore, sulla quale potrà camminare solo il Qutb (“Polo”), colui che guiderà la cerimonia, in quanto solo lui conosce la Via; il lato destro della stanza rappresenta il Regno della materia, quello sinistro il Regno dello spirito. Ad un capo dell’Equatore è posta una pelle di montone tinta di rosso, simbolo della manifestazione di Dio nell’essere umano e seggio del Qutb, mentre al suo opposto vi sono posti i musicisti e ad un lato (o in circolo) sono poste le pelle bianche su cui siederanno i danzatori. La scena inizialmente è vuota e silenziosa, simbolo del vuoto primordiale in cui solo Dio sussiste, poi giungono i musicisti, che si inchinano davanti alla pelle di montone rossa e poi si recano al loro posto, iniziando a cantare inni mevlevi; il suono è vibrazione e considerato simbolo di vita. A questo punto entrano i danzatori che indossano un cappello marrone e sono coperti da un mantello nero sotto il quale hanno un abito bianco, il primo simbolo della loro pietra tombale, il secondo della materia, il terzo del distacco da essa; una volta giunti iniziano la circumambulazione della stanza in senso anti orario, andandosi poi a sedersi ai loro posti.

A questo punto entra il Qutb che, dopo aver salutato tutti, si reca al suo posto, dando così vita alla cerimonia; quest’ultimo indossa un copricapo nero avvolto da un turbante nero o verde. Mi perdonino ora coloro che desideravano leggere con precisione tutto il rituale ma, a causa dell’assoluta dovizia di particolari e simbolismi con il quale viene descritto, sarei costretto a citarvi parola per parola le pagine d’introduzione al Masnavi che ne trattano.
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