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“L’Aleph” è uno dei libri più celebri ed apprezzati di Jorge Luis Borges, uno dei più grandi autori argentini di sempre, non immune al fascino del “mondo islamico”
L’Aleph
Un pensiero insieme lucido e appassionato guida questi racconti, nei quali un’invenzione ardente e temeraria tocca, con esito spesso drammatico o patetico, temi universali: il tempo, l’eternità, la morte, la personalità e il suo sdoppiamento, la pazzia, il dolore, il destino. Temi universali uniti al sentimento dell’unicità irripetibile dell’esperienza individuale, in uno scrittore che si presenta, innanzi tutto, sotto l’aspetto dell’eleganza.
Un libro particolare
Presi la decisione di leggere qualcosa di Jorge Luis Borges circa un anno fa, quando iniziai ad occuparmi delle creature fantastiche del “mondo islamico”; mi aveva colpito moltissimo la sua profonda erudizione su argomenti a lui tanto lontani sia per geografia che per storia e proprio per questo ero deciso a leggere qualcuno dei suoi lavori, in modo da poter osservare con i miei occhi il suo sapere. Inutile dire che, per quello che mi ero immaginato, sarebbe stato decisamente più adatto il suo “Il libro degli esseri immaginari”, ma è molto probabile che presto o tardi compaia anche quest’ultimo su Medio Oriente e Dintorni.

“L’Aleph”, invece, risulta essere decisamente più simile ed affine a “I portici del mare” di Shams Nadir autore che, non a caso, è stato considerato a lungo il “Borges d’Oriente”. Il libro raccoglie 17 racconti, ognuno con un contesto ed uno spirito diverso, ma ciascuno di loro in grado di fornire riflessioni assolutamente non banali, diverse delle quali perfettamente ricollegabili all’universo di Medio Oriente e Dintorni.
Fra Antico e Nuovo mondo
Sono 7, nello specifico, i testi che si ricollegano abbastanza direttamente, anche se alcuni di essi vanno minimamente contestualizzati per cogliere al meglio analogie non così visibili ad un primo impatto. Il primo è senza alcun ombra di dubbio “La ricerca di Averroè”, a mio modesto parere, uno dei migliori in assoluto presenti nella raccolta. Il racconto narra dell’amore di Averroè per Aristotele, al quale però non riesce ad accedere interamente in quanto non riesce ad elaborare il concetto di dramma e tragedia; la trovata geniale di Borges è quella di paragonare la situazione di Averroè alla sua, possibile solo grazie all’ignoranza di entrambi.
“Sentii che quell’opera si burlava di me. Sentii che Averroè, che voleva immaginare quel che è un dramma senza sapere cos’è un teatro, non era più assurdo di me, che volevo immaginare Averroè senz’altro materiale che qualche notizia tratta da Renan, Lane e Asín Palacios. Sentii, giunto all’ultima pagina, che la mia narrazione era un simbolo dell’uomo che io ero mentre scrivevo, e che, per scriverla, avevo dovuto essere quell’uomo, e che, per essere quell’uomo, avevo dovuto scrivere quella storia, e così all’infinito. (Nell’istante in cui cesso di credere in lui, Averroè sparisce)”
tratto da “La ricerca di Averroè”, a sua volta contenuto ne “L’aleph” di Jorge Luis Borges
Altri racconti molto interessanti ed estremamente collegati al “mondo islamico” sono “Lo Zahir”, “Abenjacàn il Bojarì, ucciso nel suo labirinto”, “I due re e i due labirinti” e “L’uomo sulla soglia”. La prima storia ruota tutta attorno al concetto di Zahir che, all’interno del mondo latino-americano, corrisponde ad un’ossessione impossibile da dominare e che, partendo dal mondo dei sogni, si impossessa dell’ossessionato fino a quando egli non pensa che all’oggetto/cosa/essere vivente che incarna il suo zahir. Va detto che, all’interno del mondo islamico, da cui lo zahir proviene, esso non ha minimamente tali connotati e sarebbe o il significato essoterico/manifesto del Corano o uno dei 99 nomi di Allah; Az-Zahir è citato nello specifico nella Surah 57 al versetto 3 e viene tradizionalmente tradotto con “Il Manifesto”/”L’Evidente”. Nel secondo testo vediamo invece ci verrà narrata la storia di un servo vigliacco e di un violento padrone che, cambiando le proprie abitudini, riusciranno a trasformarsi l’uno nell’altro, facendoci rivivere atmosfere che ricordano moltissimo quelle vissute in alcuni libri di Orhan Pamuk. “I due re e i due labirinti” è un racconto che alcuni copisti intercalarono ne “Le mille ed una notte” e “L’uomo sulla soglia” ci farà scoprire la misteriosa sorte di un violento governatore britannico dell’India.
Indirettamente affini
Vi è però un testo che, pur essendo in apparenza molto lontano dal mondo di Medio Oriente e Dintorni, alla fine dei fatti risulta forse il più affine di tutti: “La scrittura di Dio”. In questa storia ci viene narrata la prigionia di Tzinacàn, mago della piramide di Qaholom, imprigionato nella sua stessa piramide dai conquistadores spagnoli. In cella il grande sapiente riuscirà ad elevare il suo spirito al di là di ogni conoscenza umana, riuscendo persino a leggere la “scrittura di Dio” nelle macchie di un giaguaro, animale sacro per la mitologia Maya.
“È una formula di quattordici parole casuali (che sembrano casuali) e mi basterebbe pronunciarla ad alta voce per essere onnipotente. Mi basterebbe dirla per abolire questo carcere di pietra, perché il giorno invadesse la mia notte, per essere giovane e immortale, perché il giaguaro lacerasse Alvarado, per affondare il santo coltello nei petti spagnoli, per ricostruire la piramide e l’impero. Quaranta sillabe; quattordici parole e io, Tzinacàn, governerei le terre governate da Moctezuma. Ma so che mai dirò quelle parole, perché non mi ricordo più di Tzinacàn. Muoia con me il mistero che è scritto nelle tigri. Chi ha scorto l’universo, non può pensare a un uomo, alle sue meschine gioie o sventure, anche se quell’uomo è lui. Quell’uomo è stato lui e ora non gl’importa più la sua azione, poiché egli ora è nessuno. Per questo non pronuncio la formula, per questo lascio che i giorni mi dimentichino, sdraiato nelle tenebre.”
Da “La scrittura del dio” a sua volta tratto da “L’Aleph” di Jorge Luis Borges
Come Hayy ibn Yaqzan, però, una volta giunto al massimo dell’illuminazione, perderà interesse nella vita e nel potere personale, considerando sé stesso non più il centro del mondo, bensì una parte di esso, assolutamente insignificante rispetto alla sua immensità. Oltre all’affinità con il percorso di Ibn Yaqzan e quello dei mistici in generale, è impossibile non notare anche una profonda sintonia fra la ricerca della “scrittura di Dio” nelle macchie del giaguaro di Tzinacàn e la ricerca di un significato nascosto nelle lettere di Galip in “Il libro nero” di Pamuk. La differenza è che lì il substrato è assolutamente “islamico” e ricollegato fortissimamente al mondo persiano e sufi, mentre qui la trama e le “illuminazioni” si allineano con il contesto americano, portandoci a riferimenti molto diversi.
L’Aleph
Un altro racconto che è assolutamente affine al Medio Oriente e poi senza alcun ombra di dubbio “L’Aleph”, che da il nome all’intera raccolta. Devo dire, in tutta onestà, che quest’ultimo lo immaginavo molto collegato ad una sorta di “percorso di illuminazione” simile a quelli già visti in precedenza, mentre è proprio l’oggetto Aleph ad assumere grande valenza. La storia parla infatti di un libro con cui sarebbe venuto in contatto Borges che al suo interno avrebbe, in un certo senso, l’intero universo; impossibile qui non vedere qualche analogia fra i due mondi, specie considerando alcune delle interpretazioni più forti legate al concetto di “libro” ed “Islam”.

Tale religione è infatti quella in cui il tale concetto è più forte in assoluto, tanto che il sacro Corano viene ritenuto “il suo miracolo” e la sua copia “primigenia” sarebbe qualcosa di estremamente affine all’Aleph citato da Borges. Non sarò troppo preciso perché non ricordo esattamente la fonte di ciò che sto per dire, ma, secondo alcuni, il “vero Corano” sarebbe una sorta di immenso e sacro libro nel quale vi è scritto l’inizio e la fine di ogni cosa, conoscenza alla quale può accedere, ovviamente solo Allah; in base alle caratteristiche fornite da Borges, non è allora così strano immaginare l’Aleph come un qualcosa di ibrido fra il Corano “per tutti” e quello “primigenio” conservato dal Creatore.
Un bell’esperimento
Ovviamente Jorge Luis Borges fa parte di un universo letterario e culturale diverso da quello normalmente trattato su Medio Oriente e Dintorni, ma le affinità fra le due realtà non solo sono evidenti, ma molte volte sono proprio ricercate dall’autore che, è abbastanza palese, provava sicuramente una grande curiosità per l’Oriente ed il “mondo islamico”, tanto che Abenjacàn il Bojarì parte addirittura con una citazione coranica.

Sicuramente in futuro avremo modo di scoprire ancora meglio le sue incredibili conoscenze perché, grazie a quest’ultime, è riuscito ad avvicinare due luoghi molto lontani, non dimenticando per nessuno di loro un rispetto raro anche per ciò che si conosce molto approfonditamente.
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