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Settima puntata del “Progetto Kitab” con la casa editrice Edizioni E/O che ha presente nel suo catalogo ben 51 libri affini al nostro progetto
La casa editrice
Le Edizioni e/o nascono a Roma nel 1979, fondate da Sandro Ferri e Sandra Ozzola, accomunati da una forte passione per la politica e per i buoni romanzi. Ai suoi inizi e/o è una piccola azienda a conduzione familiare. La famiglia si allarga da subito con la collaborazione e l’amicizia di straordinari professionisti e intellettuali da Grazia Cherchi a Goffredo Fofi, a Domenico Starnone e Anita Raja. La casa editrice è sin dal principio l’espressione della volontà di creare ponti e brecce nelle frontiere letterarie per stimolare il dialogo tra le culture. Ciò a partire dal nome “e/o”, che sta per “e/oppure” ma anche per “est/ovest”, e dal logo con la cicogna, l’uccello migratore che viaggerà nel mondo portando storie per i decenni successivi. In un primo momento la casa editrice si concentra sulla letteratura dei paesi dell’Est, nei confronti della quale vigevano ostracismi e strumentalizzazioni politiche, con l’intento di offrire una visione diversa, più libera. Il libro d’esordio è Esplosione di un impero? di Hélène Carrère d’Encausse, un saggio profetico sulle sorti dell’Urss. Sono di questi primi anni gli incontri con alcuni grandi autori che hanno accompagnato a lungo la storia delle Edizioni e/o, da Milan Kundera – che ha diretto la celebre Collana praghese – a Bohumil Hrabal, da Leo Perutz a Christa Wolf, da Kazimierz Brandys a Christoph Hein, fino al premio Nobel Svetlana Aleksievič che per prime le Edizioni e/o hanno fatto conoscere al pubblico italiano.

Poco più tardi, nell’intento di allargare gli orizzonti, la casa editrice si volge a Ovest, alla narrativa americana. Anche in questo caso la ricerca si sviluppa fuori dai sentieri battuti portando in Italia, tra gli altri, Thomas Pynchon e Alice Munro, Joyce Carol Oates e Alice Sebold, fino al canadese Mordecai Richler. La cicogna non ha però smesso di viaggiare. L’esplorazione di mondi letterari meno conosciuti ha portato negli anni le Edizioni e/o a scoprire opere e autori di grande interesse e originalità, approdando nei paesi del sud del mondo come i Caraibi del cubano Pedro Juan Gutiérrez o l’Africa di Chinua Achebe e Ahmadou Kourouma, fra i più grandi autori dei rispettivi paesi. Ci accompagna da sempre anche la passione per la letteratura francese. Tra gli autori che abbiamo pubblicato, Muriel Barbery, autrice dell’Eleganza del riccio, uno dei nostri bestseller storici, nonché scrittori del calibro di Eric-Emmanuel Schmitt, Mathias Enard, Jérôme Ferrari, Laurence Gaudé, Jean-Christophe Rufin ed Éric Vuillard, vincitori dei più importanti premi letterari francesi. L’area mediterranea non è stata meno stimolante dal punto di vista editoriale: con i meravigliosi romanzi di Jean-Claude Izzo e Massimo Carlotto le Edizioni e/o hanno lanciato in Italia il genere del “noir mediterraneo”, centrale anche nella collana Sabot/age curata dallo stesso Massimo Carlotto e diretta da Colomba Rossi.

Abbiamo sempre avuto un’attenzione speciale anche per le scrittrici, da Christa Wolf a Marlen Haushofer, da Lia Levi a Gioconda Belli, fino a Elena Ferrante, con il suo successo mondiale senza precedenti. Oggi la cicogna ritorna verso Est. Negli ultimi anni abbiamo esplorato le letterature dal Medio Oriente al Giappone pubblicando le opere di Négar Djavadi, Saleem Haddad, Ahmed Saadawi, Murata Sayaka e altri importanti autori, vincitori in patria di premi e riconoscimenti prestigiosi. Ampliano gli orizzonti delle Edizioni e/o romanzi del fantastico – come la saga bestseller dell’Attraversaspecchi di Christelle Dabos, e Come fermare il tempo di Matt Haig – e la collana di riscoperte letterarie degli Intramontabili che accoglie opere di Joan Didion, Howard Fast, Ernst Lothar e Mary Karr. La stessa passione per lo scambio culturale e per il dialogo che caratterizza le Edizioni e/o fin dai suoi esordi, ha spinto nel 2005 Sandro Ferri e Sandra Ozzola a creare nuovi ponti, questa volta sull’Atlantico e sulla Manica, tra le culture europee e quelle angolofone: è nata così Europa Editions, una nuova casa editrice con sede a New York e Londra.

Nel mondo angolofono si traduce poco ed Europa Editions vuole intervenire proprio su questa carenza, offrendo ai lettori di lingua inglese la possibilità di accedere alla grande letteratura europea. A oggi Europa Editions è considerata una delle più raffinate case editrici indipendenti, ha pubblicato più di 120 autori provenienti da 30 paesi del mondo, con un’attenzione particolare per la grande letteratura italiana ed europea, per la scrittura femminile e per il crime. Con uffici a Roma, Milano, New York e Londra, le Edizioni e/o costituiscono con Europa Editions un progetto unico nel panorama editoriale contemporaneo. Un progetto da sempre orgogliosamente indipendente che promuove la mappatura di una letteratura che interagisca con il mondo contaminando generi e culture. Negli anni abbiamo pubblicato tanti libri diversi tra loro per provenienza, genere e stile, ma sempre con un filo rosso: quell’emozione unica che proviamo quando scorrendo le pagine di un libro scopriamo un modo inedito e bello di raccontare le storie del mondo, nuovi sguardi sulle nostre vite e quelle degli altri. È questa emozione che vogliamo trasmettere ai nostri lettori, scegliendo libri che possano regalare momenti indimenticabili. Una rosa di storie che vi porteranno lontano e vi faranno innamorare.

Sommario
Al fine di ottimizzare al massimo la vostra esperienza, vi metto l’elenco di tutte e 51 le pubblicazioni che troverete in questa lista:
- “Fame” di Muhammad al Busati (Egitto)
- “La patria delle visioni celesti” di Ibrahim al Koni (Libia)
- “L’italiano” di Shukri al-Mabkhout (Tunisia)
- “Tre manifesti per la libertà” di Ahmet Altan (Turchia)
- “Come la ferita di una spada” di Ahmet Altan (Turchia)
- “Amore nei giorni della rivolta” di Ahmet Altan (Turchia)
- “Scrittore e assassino” di Ahmet Altan (Turchia)
- “Signora vita” di Ahmet Altan (Turchia)
- “Una piccola morte” di Mohamed Hasan Alwan (Arabia Saudita)
- “Il bel tempo di Tripoli” di Angelo Angelastro (Italia)
- “L’illuminazione del susino selvatico” di Shokoofeh Azar (Iran)
- “La fortuna di Dragutin” di Gino Battaglia (Italia)
- “La santa tenebra” di Levan Berdzenišvili (Georgia)
- “Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere” di Nina Bouraoui (Francia)
- “Mendicanti e orgogliosi” di Albert Cossery (Francia)
- “Qual è la via del vento” di Daniela Dawan (Libia)
- “Disorientale” di Négar Djavadi (Iran)
- “Bussola” di Mathias Enard (Francia)
- “La perfezione del tiro” di Mathias Enard (Francia)
- “Ultimo discorso alla Società proustiana di Barcellona” di Mathias Enard (Francia)
- “Parlami di battaglie, di re e di elefanti” di Mathias Enard (Francia)
- “Ascoltate le nostre sconfitte” di Laurent Gaudé (Francia)
- “Camus nel narghilè” di Hamid Grine (Algeria)
- “Fratello grande” di Mahir Guven (Francia)
- “L’uomo che schioccava le dita” di Fariba Hachtroudi (Iran)
- “Ultimo giro al Guapa” di Saleem Haddad (Libano)
- “Ogni volta che ti picchio” di Meena Kandasamy (India)
- “Padiglioni lontani” di N.M. Kaye (Uk)
- “Morituri” di Yasmina Khadra (Algeria)
- “Doppio bianco” di Yasmina Khadra (Algeria)
- “Allah non è mica obbligato” di Ahmadou Kourouma (Costa d’Avorio)
- “Aspettando il voto delle bestie selvagge” di Ahmadou Kourouma (Costa d’Avorio)
- “Vita sessuale di un fervente musulmano a Parigi” di Leila Marouane (Algeria)
- “Nulla si perde” di Cloé Mehdi (Francia)
- “Il giardino persiano” di Chiara Mezzalama (Italia)
- “Avrò cura di te” di Chiara Mezzalama (Italia)
- “Mogador” di Martin Mosebach (Germania)
- “L’amante palestinese” di Selim Nassib (Libano)
- “Vita a spirale” di Abbase Ndione (Senegal)
- “Giardini di consolazione” di Parisa Reza (Iran)
- “L’appeso di Conakry” di Jean Cristophe Rufin (Francia)
- “Frankenstein a Baghdad” di Ahmed Saadawi (Iraq)
- “Lo scherzo di Solimano” di Mélanie Sadler (Francia)
- “Il poeta di Gaza” di Yishai Sarid (Israele)
- “Terra violata” di Mohamed Mbougar Sarr (Senegal)
- “La notte di fuoco” di Eric-Emmanuel Schmitt (Francia)
- “Il dossier Gerusalemme” di Joel Stone (Usa)
- “L’attrice di Tehran” di Nahal Tajadod (Iran)
- “Requiem per Naaman” di Benjamin Tammuz (Israele)
- “Il frutteto” di Benjamin Tammuz (Israele)
- “Fotofinish” di Tito Topin (Marocco)
- “Rose d’Arabia” di AA. VV. (Arabia Saudita)
“Fame” di Muhammad al Busati (Egitto)

In un piccolo villaggio della campagna egiziana Sakina, Zaghlul e i loro due figli lottano come possono contro la fame. Quando in casa non c’è più niente da mangiare, Sakina fa il giro delle vicine per chiedere in prestito un po’ di pane che restituisce appena può. Il suo sogno è quello di farsi assumere come domestica nella casa grande. Zaghlul lavora due giorni sì e dieci no, ma la sua passione sono i funerali e le animate discussioni degli studenti universitari che tornano al paese per le vacanze. Un giorno si mette a filosofare con lo sheikh Radwan che lo prende a calci, scandalizzato per i suoi discorsi blasfemi sulla volontà divina. Poi lavora per due mesi dal ricco e obeso hagg ‘Abd el-Rahim, che gli confessa la sua solitudine e i suoi problemi familiari. Zaher, il figlio più grande, aiuta il fornaio e riesce a portare a casa le rimanenze di pane invenduto, mentre un suo amico ricco gli passa, di nascosto, cose buone da mangiare. La sorte dell’intera famiglia cambierà quando tutti i suoi componenti si trasferiranno nella casa grande per assistere il ricco proprietario, ma alla morte di questi tutto tornerà come prima. Nonostante l’emarginazione sociale e le condizioni di estrema povertà, i protagonisti vivono una vita piena di dignità. L’autore descrive magistralmente l’ambiente rurale non solo dei diseredati, ma anche dei benestanti, in una narrazione cruda, stringata, ricca d’ironia.
“La patria delle visioni celesti” di Ibrahim al Koni (Libia)

Al centro della narrativa di al-Koni c’è il deserto, il Sahara, un universo favoloso, d’inattesa varietà, pieno di storie, di personaggi, di leggende, di pericoli e di visioni. Nessuno scrittore al mondo aveva mai raccontato il deserto con altrettanta passione e meraviglia. Non solo le storie dello scrittore libico sono avvincenti, ma ci rivelano un mondo di cui è difficile immaginare l’esistenza, il mondo del deserto dove avvengono le cose più sorprendenti: fughe, conversioni, allucinazioni, amori, pericoli, gioie inaudite, esperienze mistiche. La sua narrativa è colta, ricca di riferimenti alla Bibbia, al Corano, alle leggende dei Tuareg, ma anche alla letteratura occidentale contemporanea, perché al-Koni, cresciuto tra i Tuareg nelle sabbie del Sahara, ha vissuto e studiato successivamente a Mosca e in vari paesi occidentali. In alcuni racconti c’è la storia della resistenza delle popolazioni del deserto al colonialismo italiano, una storia spesso nascosta da noi e che qui viene raccontata con coraggio e sincerità. Ma il tema più forte di questo libro è l’esperienza mistica, intesa nel senso più ampio, che la vita nel deserto evoca e stimola.
“L’italiano” di Shukri al-Mabkhout (Tunisia)

Al funerale di suo padre, con grande costernazione di tutti i presenti, Abdel Nasser picchia l’imam che sta celebrando il rito funebre. Nell’intento di farci scoprire i motivi della misteriosa aggressione, il narratore, amico d’infanzia del protagonista, cresciuto con lui nello stesso quartiere, ripercorre la storia di Abdel Nasser, spirito libero e ribelle fin dalla prima adolescenza, leader del movimento studentesco, poi giornalista affermato. In Tunisia quelli sono anni cruciali, di grandi tensioni e cambiamenti alle porte: la crescita dell’islamismo da un lato, la forte repressione da parte del governo dall’altro. Su questo sfondo carico di fermenti rivoluzionari, lotte contro gli islamisti e manifestazioni contro il potere statale si staglia la tormentata storia d’amore tra Abdel Nasser e Zeina, brillante e bellissima studentessa di filosofia, che sogna una carriera in ambito accademico. I sogni di Zeina e di Abdel Nasser finiranno purtroppo per naufragare sotto gli ingranaggi spietati di una società corrotta e maschilista, in cui i valori sono solo di facciata, finendo per stritolare l’individualità, le speranze e le aspirazioni dei singoli. La trasformazione di Abdel Nasser da giovane idealista di belle speranze a giornalista di successo ma disilluso e stanco è narrata magistralmente in un flusso di storie, digressioni e flashback in cui la tensione narrativa è sempre alta.
“Tre manifesti per la libertà” di Ahmet Altan (Turchia)

Il volumetto che pubblichiamo si apre con una lettera al presidente turco in cui 51 premi Nobel chiedono la scarcerazione di Ahmet Altan e il ristabilimento dello stato di diritto in Turchia. Seguono tre straordinari documenti scritti dall’autore recentemente condannato all’ergastolo. Si tratta di tre memorie difensive in cui Altan, in uno stile chiaro, efficace e letterario, difende le idee di giustizia, di onestà, di legalità e mette in ridicolo non solo le accuse contro di lui ma anche il sistema corrotto e violento che sta trascinando il suo paese verso la dittatura. Capovolgendo la situazione che lo vede nel banco degli imputati, Altan scrive: “Giudicherò coloro che, a sangue freddo, hanno ucciso il sistema della giustizia consentendo l’arresto di migliaia di cittadini innocenti. Non ho il potere di punire la gente né d’incarcerarla e, in ogni caso, non vorrei mai avere questo potere. Ma ho il potere di svelare l’omicidio, di identificare l’assassino, di mostrare le armi sanguinarie usate per questo infido delitto e di raccontare i crimini che sono stati commessi”. Sono tre testi scritti con passione e lucidità, che ricordano le opere migliori del pensiero illuminista e democratico, degli atti di accusa vibranti, delle ricostruzioni avvincenti di come Erdogan sta soffocando la democrazia in Turchia, degli omaggi commoventi alla libertà, all’onestà e alla legalità.
“Come la ferita di una spada” di Ahmet Altan (Turchia)

Seconda metà dell’Ottocento: nell’Impero ottomano declinante, sconvolto da conflitti etnici e spinte moderniste, la giovanissima Mehpare Hanim, donna di straordinaria bellezza, viene presa in moglie da Sheyh Efendi, uomo religioso e tormentato dai sensi di colpa che il forte richiamo della sensualità gli fa germogliare nel cuore. Gli stessi che, dopo un anno e mezzo, lo spingeranno a ripudiare Mehpare, e a condannarla alla triste nomea di donna-strega, perturbatrice del tradizionale primato maschile. Ma è proprio in quel periodo che il giovane Hikmet Bey, figlio del medico di corte del sultano, torna da Parigi, dove è cresciuto con la madre dopo il divorzio dei genitori, per lavorare a corte e cercare la moglie ideale. L’incontro casuale con la bella Mehpare accende all’improvviso la fiamma dell’amore, mentre il matrimonio che ne consegue rivela l’apparente inconciliabilità di due mentalità opposte: quella occidentale e liberale di Hikmet e quella orientale, religiosa e integralista di Mehpare. Lo spuntare all’orizzonte di un affascinante dongiovanni, incarnazione di tutto ciò che Mehpare non può assolutamente condividere, sarà l’ultimo atto di questa saga familiare, che descrive con passione ed esattezza il catalogo delle passioni e dei doveri, degli scrupoli e delle tentazioni che riescono a turbare gli individui, sullo sfondo di un più generale turbamento: quello di una Turchia leggendaria, titanica, feroce, alle prese con la propria incrinata identità.
“Amore nei giorni della rivolta” di Ahmet Altan (Turchia)

Il secondo volume del Quartetto ottomano, l’affresco-capolavoro dello scrittore turco Ahmet Altan, segue le vicissitudini dei personaggi che avevamo conosciuto nel primo volume, Come la ferita di una spada. Ne emerge un affresco impressionante per potenza e vivacità della crisi dell’Impero ottomano all’inizio del ‘900, attraverso le storie intrecciate di personaggi vivissimi alle prese con amori tormentati, intrighi, giochi di potere e rivolte. Questo secondo romanzo si apre subito dopo il tentativo di suicidio di Hikmet Bey, figlio del medico personale del sultano, mentre cerca di dimenticare la donna all’origine della sua tristezza, la sua sposa, la bellissima e superba Mehpare Hanım. Mentre in un ospedale di Salonicco Hikmet ritrova lentamente le forze e la voglia di vivere, le cose cambiano nella capitale ottomana. Il potere del sultano è minacciato, si prepara la rivolta, le strade di Istanbul diventano teatro di ogni violenza. Siamo alla vigilia di un episodio della fine dell’Impero: la controrivoluzione del 31 marzo 1909. Il lettore si ritrova così trasportato in un affresco allucinante dove la Storia si svolge attraverso i ritratti e i destini di una moltitudine di personaggi a tutto tondo. Ciò che colpisce è anche l’attualità di questa storia. A oltre cent’anni di distanza da quegli eventi, la Turchia contemporanea resta alle prese con problemi e situazioni che vengono da quell’epoca e ancora ne portano i segni evidenti.
“Scrittore e assassino” di Ahmet Altan (Turchia)

Ambientato sulla costa mediterranea della Turchia, in uno scenario favoloso di mare, ulivi e vigne, ma anche teatro di conflitti ed emozioni violente, il romanzo di Altan racconta l’arrivo di uno scrittore in una cittadina lacerata da lotte tra bande per il controllo di traffici e del potere. All’inizio l’uomo si tiene in disparte e cerca di approfittare della bellezza dei luoghi e della sua estraneità per ritrovare il filo della sua vocazione di scrittore, smarritosi dopo anni di successi e fallimenti. Ma la passione erotica incontrollabile per una donna che si rivelerà al centro delle lotte locali lo spinge a entrare nel gioco delle alleanze e degli scontri armati.
“Signora vita” di Ahmet Altan (Turchia)

Il romanziere turco Ahmet Altan ci presenta un romanzo di formazione in cui sesso, letteratura e politica si intrecciano in un’opera da leggere tutta d’un fiato. Il protagonista Fazıl è un giovane studente di letteratura e proviene da una famiglia borghese che ha subito un tracollo finanziario. Vive in un’ex manifattura insieme a dissidenti, transessuali e altri individui ai margini della società. Trova un piccolo lavoro come comparsa in una trasmissione televisiva dove si esibisce la cantante Hayat Hanım, di molti anni più grande, donna sensuale, misteriosa e indipendente. Tra i due nasce presto una relazione intermittente, in cui le differenze sono molte di più rispetto ai punti in comune. Se infatti Hayat Hanım vive senza pensare al domani, Fazıl è gravato dalla povertà ed è costretto a prendere in considerazione tutti i rischi possibili. Ma durante le trasmissioni in TV Fazıl conosce Sıla, anche lei studentessa di letteratura e come lui proveniente da una famiglia agiata finita sul lastrico per motivi politici. Tra Fazıl e Sıla si instaura un rapporto profondo, fatto di comunione intellettuale e poi anche fisica. I due sembrerebbero fatti l’uno per l’altra, ma Fazıl si trova diviso fra le due donne, fra stili di vita e aspirazioni differenti. Intanto uno dei coinquilini lo invita a collaborare a una rivista clandestina che denuncia i crimini del governo. A partire da questo episodio Fazıl scopre la faccia più spietata e repressiva di un regime dittatoriale. Un romanzo di grandi scoperte, dall’impegno politico ai ruoli di genere, dal sesso alla letteratura: Altan propone una critica sferzante al regime che fa e disfa intere fortune, mette al bando giornalisti, scrittori e accademici, costringe i giovani a emigrare. In uscita a maggio 2021.
“Una piccola morte” di Mohamed Hasan Alwan (Arabia Saudita)

Tradotto in più di dieci paesi, Una piccola morte, biografia romanzata di uno dei padri del sufismo (la corrente mistica dell’Islam), è un romanzo storico, d’avventura, di viaggio e d’amore, che restituisce un’immagine del santo sufi ripulita dall’alone di leggenda: Ibn ‘Arabi uomo in carne e ossa, che si sposa e divorzia, che piange e ride, che viaggia alla ricerca del senso della vita. Il titolo si riferisce proprio a un detto di Muhyi-d-din Ibn ‘Arabi: «L’amore è una piccola morte». In questo ambizioso romanzo, Mohamed Hasan Alwan ci conduce in un’epoca lontana, a cavallo tra il XII e il XIII secolo, ricostruendo passo dopo passo e con dovizia di particolari la vita del “sommo maestro” Muhyi-d-din Ibn ‘Arabi, uno dei più grandi sheikh sufi di tutti i tempi, filosofo, mistico e poeta la cui opera ha influenzato molti intellettuali e mistici tanto in Oriente quanto in Occidente (secondo alcuni studiosi avrebbe influenzato, seppur indirettamente, anche Dante Alighieri e San Giovanni della Croce). In apertura del romanzo, Alwan immagina Ibn ‘Arabi, in eremitaggio su una montagna in Azerbaigian, intento a scrivere la propria autobiografia. Le pagine che seguono ripercorrono, sotto forma di narrazione in prima persona, l’intera vita del mistico musulmano, sempre legata a doppio filo agli eventi storici e politici dell’epoca, che hanno influito, spesso in modo diretto, sul suo vissuto quotidiano e sul suo percorso esistenziale.
“Il bel tempo di Tripoli” di Angelo Angelastro (Italia)

La sciagurata avventura coloniale dell’Italia in Africa raccontata come un romanzo avvincente: la presa di Adua, il viaggio “africano” di Curzio Malaparte, le due “visite” del Duce in Libia, il giallo del cadavere di Italo Balbo, la lite Gambara-Rommel e la conseguente inchiesta della Gestapo, le esecuzioni dei ribelli senussi a Barce, il piroscafo dei reclusi italiani di Tripoli mandati a morire nel Mediterraneo. Sono alcuni degli episodi che l’ex Capo ufficio Stampa della Milizia Fascista in Africa Orientale racconta nel 1986 a un giovane giornalista di sinistra con il quale stringe una singolare amicizia. I due decidono di registrare questi preziosi e precisi ricordi, ma le registrazioni finiranno per essere dimenticate. Dopo venticinque anni il giornalista ritrova i nastri, li riascolta e si rende conto del loro valore, reso più evidente proprio dal lungo intervallo di tempo trascorso. Essi custodiscono la narrazione di una straordinaria vicenda umana, la parabola di un volontario fascista in Etiopia nel 1935 che termina con la sua condanna a morte in Libia nel 1943 (evitata all’ultimo momento) dopo aver compreso i piani del Regime e aver cercato di sventarli.
“L’illuminazione del susino selvatico” di Shokoofeh Azar (Iran)

Iran 1979. La famiglia di Bahar, un’eccentrica dinastia di mistici, poeti e filosofi, fugge da Teheran allo scoppio della Rivoluzione. Segnata da un terribile lutto – a raccontare la storia è il fantasma di Bahar stessa, arsa viva in un rogo in una sommossa –, si rifugia tra i boschi del Mazandaran, lontano da uomini e strade. Lo sperduto villaggio di Razan, immacolato e selvaggio, li accoglie all’ombra delle sue foreste millenarie, popolate da spettri e prodigi, vecchie leggende, le rovine di un antico tempio zoroastriano. Nel giro di un decennio, però, i tentacoli della nuova Repubblica Islamica giungono fino a loro, portando morte e distruzione, guerra e fanatismo, e spezzando per sempre l’equilibrio tra il mondo dei vivi e gli esseri della foresta. Anche la famiglia di Bahar verrà travolta e divisa, e ciascuno dei suoi componenti dovrà andare incontro da solo al proprio straordinario destino.
“La fortuna di Dragutin” di Gino Battaglia (Italia)

Dragutin Jovanović è sfuggito, ancora bambino, allo sterminio nazista dei rom. Nella sua storia, i più scorgono il marchio di un destino benigno che lo ha preservato fino a oggi, ormai anziano ma ancora punto di riferimento di un esteso campo rom italiano. Attorno a lui, e a ciò che ha saputo costruire con la sua fortuna, si snoda un romanzo che lega storie, culture e tempi diversi, in cui il protagonista è la comunità, con le sue regole e le sue tradizioni tramandate di padre in figlio come un peccato originale. Fanno da scenografia i racconti attorno al fuoco, i piccoli, rassicuranti riti quotidiani, le complicate relazioni tra nomadi di origini e culture diverse che molti di noi chiamano semplicisticamente “zingari”, ignari delle responsabilità politiche di chi ha offerto loro una prigione all’aperto senza fare distinzione tra vivere e sopravvivere. Ma La fortuna di Dragutin è altresì la storia di un amore in aperto contrasto con i princìpi della società rom. Anche per questo, tutto sembra disfarsi mentre incombe la sciagura finale, una disgrazia annunciata che nessuno dei protagonisti ha le risorse per allontanare. Con la mente alle cicatrici che la storia ha inferto al suo popolo tra la Seconda guerra e il conflitto balcanico, Dragutin si interroga sul vero significato della sua fortuna.
“La santa tenebra” di Levan Berdzenišvili (Georgia)

Il libro è ispirato al periodo in cui l’autore è stato rinchiuso nel Gulag, uno degli ultimi condannati nella storia sovietica. «Sono stati gli anni migliori della mia vita», racconta con ironia ma anche con verità, perché aggiunge: «il KGB si è dato un gran daffare per riunire in un solo posto un gruppo di persone eccezionali». Ovviamente i prigionieri del Gulag furono, anche negli ultimi anni del regime sovietico “ammorbidito” dalla perestrojka, vittime della fame, delle celle d’isolamento, delle punizioni, ma ciononostante riuscirono a combattere l’assurdità del sistema di oppressione in mille modi. Organizzavano corsi di lingue antiche, inventavano macchine per diliscare il pesce (!), discutevano della possibilità o meno di costruire un comunismo “buono”, organizzavano gare gastronomiche in condizioni di estrema penuria alimentare… Tutte queste storie tragicomiche mettono in luce l’arbitrio e l’assurdità del potere dittatoriale sovietico.
“Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere” di Nina Bouraoui (Francia)

Tutti gli uomini aspirano per natura al sapere è la storia delle notti della mia giovinezza, delle peregrinazioni, delle alleanze e dei turbamenti di quelle notti. È la storia del mio desiderio, divenuto identità e lotta. Avevo diciotto anni. Ero una freccia scagliata verso il bersaglio, che nessuno poteva deviare dalla sua traiettoria. Avevo come una febbre. Quattro volte a settimana andavo al Kat, un club riservato alle donne, in rue du Vieux-Colombier. Allora battevano due cuori, il mio e quello degli anni Ottanta. Cercavo l’amore. Ho imparato a conoscere la violenza e la sottomissione. Quella violenza mi univa al paese della mia infanzia e della mia adolescenza, l’Algeria, e alla sua poesia, alla sua natura selvaggia, vergine e brutale. Questo libro è lo spazio sconfinato di questi due territori.
“Mendicanti e orgogliosi” di Albert Cossery (Francia)

Nato al Cairo nel 1916, Albert Cossery arriva a Parigi nel 1945 e prende alloggio nella stessa camera d’albergo dove ha vissuto per molti anni. Amico di Albert Camus, Lawrence Durrell e Henry Miller, frequentatore di café del Quartiere Latino, «dandy solare e solitario», ha ricevuto nel 1990 il Grand prix de la Francophonie. La storia di Mendicanti e orgogliosi è ambientata nelle viuzze del Cairo. Il protagonista è un ex filosofo diventato mendicante e frequentatore di bordelli. E la vicenda inizia appunto con l’assassinio di una giovane prostituta. Nour el Dine, poliziotto omosessuale, indaga tra mendicanti storpi, venditori di hascisc, tenutarie di bordelli. I personaggi di Cossery sono gli esclusi, gli asceti, i fannulloni, i visionari, i marginali, che egli considera gli unici veri aristocratici, i soli saggi che hanno scelto di non lavorare per vivere e per riflettere, proprio come ha fatto lui da cinquant’anni nella sua camera d’albergo a Parigi. Mendicanti e orgogliosi è l’opera di un autore originale, un elogio anticonformista della povertà e della «pigrizia».
“Qual è la via del vento” di Daniela Dawan (Libia)

Tripoli, giugno 1967. La Guerra dei sei giorni in Medioriente scatena terribili violenze contro gli ebrei di Libia. Uccisi, depredati dei loro averi, sono oggetto dell’odio di masse inferocite che il vecchio re Idris non controlla. Bisogna fuggire, nascondersi. E così Ruben e Virginia Cohen, con i vecchi genitori di lei, Ghigo e Vera Asti, si barricano nel loro appartamento, circondato da uomini armati di spranghe e coltelli. Micol, la loro bimba di nove anni, è bloccata a scuola dalle suore italiane che non vedono l’ora di liberarsene: l’istituto rischia per la presenza della bambina ebrea, l’unica rimasta di tanti allievi. L’esile Micol è timida, vive in un mondo di fantasia tutto suo in cui si figura come compagna la sorellina morta prima che lei nascesse e di cui non sa nulla. Nessuno infatti gliene parla mai, su Leah grava un segreto. Tripoli, giugno 2004. Al governo del Paese ormai da molti anni, il colonnello Gheddafi tenta di riprendere i contatti con gli ebrei libici emigrati in Italia, di cui ha confiscato tutti i beni. Invita perciò a Tripoli una delegazione. Ad accompagnarla c’è anche l’avvocato Micol Cohen, la bambina esile e insicura di un tempo. Adesso è una donna protagonista della sua vita, professionalmente riuscita, che non ha mai saputo costruire un legame sentimentale stabile. E il suo pensiero, una volta in Libia, va alla sorella così presente nella sua infanzia e di cui dovrà esplorare il segreto.
“Disorientale” di Négar Djavadi (Iran)

In esilio a Parigi dall’età di dieci anni, Kimiâ, nata a Teheran, ha sempre cercato di tenere a distanza il suo paese, la sua cultura, la sua famiglia. Ma i jinn, i genii usciti dalla lampada (in questo caso il passato), la riacciuffano per far sfilare una strabiliante serie d’immagini di tre generazioni della sua storia familiare: le tribolazioni degli antenati, un decennio di rivoluzione politica, il passaggio burrascoso dell’adolescenza, la frenesia del rock, il sorriso malandrino di una bassista bionda… Un affresco fiammeggiante sulla memoria e l’identità; un grande romanzo sull’Iran di ieri e sull’Europa di oggi.
“Bussola” di Mathias Enard (Francia)

Con questo straordinario romanzo-fiume uno dei più raffinati autori francesi ha vinto il Premio Goncourt nel 2015. Bussola è la storia d’amore tra Franz, uno specialista dell’Oriente, e Sarah, anch’essa studiosa delle civiltà orientali, un amore che dura anni e si snoda attraverso Europa, Iran, Siria e Turchia. Ma è anche la storia di un altro amore tormentato: quello tra l’occidente e l’oriente. Un amore raccontato attraverso le centinaia di storie di coloro, donne e uomini europei, che nel corso dei secoli hanno dedicato le loro vite (e spesso le hanno perse tragicamente) all’inseguimento di questa passione “impossibile”. Con un’erudizione impressionante che non offusca mai il piacere della lettura, Enard racconta le vite avventurose e appassionate di scrittori, avventurieri, musicisti, viaggiatrici che si sono lasciate ammaliare dall’esotismo e dalla sensualità di luoghi come la Persia, Costantinopoli, Palmira; luoghi di questa passione divisa tra miraggio e illusione da una parte e vite reali e ben concrete dall’altra. Cos’è stato l’orientalismo? Un miraggio del deserto favorito dai fumi dell’oppio, dai profumi delle spezie e dalle mire coloniali dell’Europa, o un vero incontro tra culture diverse ma complementari, l’una bisognosa dell’altra, alla continua ricerca dell’Altro che ci completa?
“La perfezione del tiro” di Mathias Enard (Francia)

Scritto prima dei due affascinanti romanzi-viaggio – Bussola e L’alcol e la nostalgia – nei quali il premio Goncourt Mathias Enard trasporta i lettori in due universi complessi e ammalianti come l’Oriente e la Russia, La perfezione del tiro racconta la psiche contorta e crudele di un cecchino in una delle tante guerre mediorientali. Il segreto di questo giovane assassino sta nella concentrazione. Nella pazienza, nella calma, nel controllo della respirazione. Basta un solo tiro andato a segno per dargli la gioia di un lavoro ben fatto. Solo allora scende dal tetto del palazzo dove si è nascosto per uccidere e ritorna a casa dalla madre, che la guerra civile ha condotto alla follia. Poi però arriva Myrna, un’adolescente che lui ha assunto per badare alla madre malata. La sua sessualità nascente turba il protagonista. La loro convivenza, in cui si limitano a un paradossale amore platonico, va avanti tra i ritorni del guerriero dalle sue cacce all’uomo (e anche a donne e bambini), le passeggiate in cui si tengono per mano e arrossiscono a ogni turbamento, la paura che però cresce nella ragazza man mano che intuisce l’oscura indole del giovane.
“Ultimo discorso alla Società proustiana di Barcellona” di Mathias Enard (Francia)

Attraverso questa raccolta di vagabondaggi, Mathias Énard traccia la sconfinata mappa della sua scrittura e della sua geografia interiore. Da Beirut a Sarajevo, dalla Russia al Tagikistan fino alla Spagna, l’autore di Bussola ci offre schegge di racconti esplosi, folgoranti, talvolta sensuali, spesso imprevedibili. Nutrito dai rumori soffocati della guerra e del caos planetario, questo Ultimo discorso ci fa sentire l’eco lontana del conflitto in Libano, ci mette sulle tracce divenute sempre più sfuggenti del genocidio ebreo in Polonia, ci consente di percepire la spettrale presenza degli scontri che hanno lacerato i Balcani, ci conduce nelle pianure russe prima di lasciarci ai piedi dell’ultimo letto di Proust, per un ultimo immobile viaggio. Attraversando forme letterarie classiche e moderne con la stessa attitudine di un esploratore, Mathias Énard percorre prosa, lasse poetiche, versi rimati e ci restituisce poesie il cui stile, avventuroso e poliglotta, ricorda Blaise Cendrars, François Villon o Federico García Lorca per la loro brutale semplicità e la loro evidenza poetica.
“Parlami di battaglie, di re e di elefanti” di Mathias Enard (Francia)

13 maggio 1506: Michelangelo sbarca a Costantinopoli, da cinquant’anni capitale dell’impero turco. Ha lasciato Roma, irritato con papa Giulio II che gli preferisce altri artisti, per accettare l’invito del sultano Bayazid il Giusto, che gli offre un compito e una sfida: disegnare un ponte che unisca le rive del Bosforo. Lo stesso progetto era stato affidato vent’anni prima a Leonardo da Vinci, e Michelangelo trova irresistibile la prospettiva di riuscire là dove il rivale ha fallito. Il fascino della città d’oro e di spezie lo avvolge e lo ammalia fin da subito: e tra paggi, schiavi, soldati, elefanti, scimmie, taverne oscure e freschi cortili si fanno avanti due figure ambigue e incantevoli che avvincono l’artista con il potere della danza, del canto, della poesia. In uscita ad aprile 2021.
“Ascoltate le nostre sconfitte” di Laurent Gaudé (Francia)

Mariam è un’archeologa irachena che lavora per l’Unesco. Il suo incarico consiste nel ritrovare e autenticare le opere rubate, vendute illegalmente o andate disperse durante i saccheggi di musei e siti archeologici che, dal tempo della guerra in Iraq alle tristemente famose gesta dello Stato islamico, devastano il patrimonio culturale del Medio Oriente. A Zurigo conosce Assem, con cui passa una notte d’amore. Il giorno dopo ognuno va per la propria strada, ma stranamente l’amore cresce e li accompagna nelle loro vicende individuali, anche se probabilmente non si rivedranno più. Assem è un agente segreto al servizio della Francia a cui è stata affidata la missione di rintracciare un ex membro delle forze speciali americane scomparso e sospettato di loschi traffici. Caccia agli oggetti da una parte, caccia all’uomo dall’altra. Ma chi vince? Chi perde? Cos’è una vittoria quando provoca sangue, dolore e un tremendo vuoto interno? Le vicende di Mariam e Assad si intrecciano con le convulsioni del mondo attuale, dalla violenza ottusa dell’integralismo islamico alla caotica situazione nella Libia del dopo Gheddafi, ma idealmente si intrecciano anche con altri eventi storici da cui vincitori e vinti sono usciti sconfitti: Annibale che piega Roma e da Roma viene piegato, il generale nordista Grant che riesce a battere i sudisti solo grazie a una delle più imponenti carneficine della storia dalla quale lui per primo non si risolleverà mai, l’imperatore d’Etiopia Hailé Selassié che resiste strenuamente alla conquista del suo paese da parte dell’Italia fascista ma viene fagocitato da un mondo avviato alla modernità in cui l’Etiopia è solo una pedina da giocare secondo gli interessi delle grandi potenze.
“Camus nel narghilè” di Hamid Grine (Algeria)

Nabil, professore di letteratura francese in un liceo di Algeri, tutto scuola e famiglia, viene a sapere durante il funerale del padre che in realtà è figlio illegittimo di Camus e di una sua misteriosa amante algerina. Lì per lì non crede una parola di tutta quella storia, ma l’idea gli lavora dentro come un tarlo, diventa un’ossessione: in fondo gli piacerebbe essere figlio di un celebre scrittore anziché di quel padre austero e distante che non l’ha mai amato. Così, fingendo anche con se stesso di non crederci, si mette sulle tracce di Camus e della sua fantomatica storia d’amore algerina. Le sue ricerche lo conducono da un vecchio libraio, poi da un’anziana intellettuale, finché insieme a una giovane e bella collega approda a casa di un ex combattente che si è distinto nella guerra d’indipendenza algerina. E lì le rivelazioni fioccano, in un continuo capovolgimento di verità. Una storia originale e piena di ironia, ambientata tra le romantiche bellezze di Algeri e venata di una struggente nostalgia per un mondo che sta cambiando troppo rapidamente.
“Fratello grande” di Mahir Guven (Francia)

Fratello grande è un autista Uber. Chiuso undici ore al giorno nella sua auto con la radio sempre accesa, rimugina sulla vita e sul mondo che gli passa davanti o dentro il taxi. Fratello piccolo, l’idealista della famiglia, è partito da mesi per la Siria come infermiere con un’organizzazione umanitaria musulmana e non ha dato più notizie. Un silenzio che logora il fratello e il padre in attesa di una risposta alla domanda: perché è andato? Una sera suona il citofono. Fratello piccolo è tornato… In questo continuo perdersi e cercarsi dei due fratelli, in una famiglia con le radici strappate, in un mondo dove ogni giorno il giusto e lo sbagliato si rovesciano, sta la forza sorprendente di questo romanzo di avventure e di idee.
“L’uomo che schioccava le dita” di Fariba Hachtroudi (Iran)

Nella più sordida prigione di uno stato in cui non è difficile riconoscere l’Iran, terra d’origine dell’autrice Fariba Hachtroudi, la prigioniera 455 è un mito. Ogni giorno, bendata, viene torturata crudelmente, con sadismo. Eppure non parla, resiste. Troppo, per i suoi carnefici. Crede che sia giunta la sua ora quando un uomo misterioso la libera dall’incubo con un semplice schiocco delle dita. La prigioniera 455 non lo vede in faccia, ne intuisce appena la camminata. Anni dopo, al sicuro in un paese europeo, le basterà per riconoscere l’uomo venuto a chiedere asilo politico, un ex colonnello in fuga dal loro comune paese d’origine. È l’inizio dei ricordi, due vite su fronti opposti, entrambe vittime di un grande amore spezzato. Ma è anche l’inizio della libertà.
“Ultimo giro al Guapa” di Saleem Haddad (Libano)

Una capitale mediorientale percorsa dal fremito della Primavera araba. Rasa, un giovane omosessuale non dichiarato che vive con la dispotica nonna paterna Teta, di giorno lavora come interprete e di notte si divide tra il Guapa, un locale underground nel cui seminterrato si radunano clandestinamente i gay e le lesbiche della città, e il suo amante segreto, Taymour, che fa entrare nella propria camera da letto fino al giorno in cui la nonna li scopre. Intanto il suo miglior amico, Maj, star drag queen del Guapa, viene arrestato all’interno di un cinema. I due eventi fanno precipitare la situazione già fragile di Rasa, abbandonato dalla madre quando era bambino, emigrato più tardi in America, dove però non riesce a integrarsi e tornato alla solitudine e alla vergogna della convivenza con la nonna. Rasa s’interroga anche sulla breve, intensa stagione delle proteste di piazza, prima che la repressione del regime e la conseguente estremizzazione degli scontri portassero all’emergere del fondamentalismo islamico. In uno scontro diretto con Ahmed, un leader islamista della protesta, Rasa è costretto al silenzio di fronte all’invettiva di quest’ultimo contro gli omosessuali. Il matrimonio del suo amante Taymour con Leila, una ragazza della buona borghesia, fa esplodere definitivamente il precario equilibrio di Rasa.
“Ogni volta che ti picchio” di Meena Kandasamy (India)

India dei giorni nostri. Lei è una scrittrice, una poetessa, una giovane attivista dal passato tormentoso e il cuore spezzato. Lui è un docente universitario, un ex guerrigliero maoista, un uomo che, parlando della rivoluzione, sembra più intenso di qualsiasi poesia, più commovente di qualsiasi bellezza. Si conoscono, si innamorano, decidono in fretta di sposarsi. La coppia si trasferisce in una lontana città costiera dell’India, senza vincoli né programmi, pronta a un salto nel vuoto che li vedrà protagonisti insieme. Lì, dietro le porte ben chiuse di una villetta circondata da un giardino selvaggio, il marito perfetto cambia volto, trasformandosi poco a poco in un carceriere e in un carnefice. La limitazione delle libertà della moglie – vestiti, trucco, capelli; e poi: mail, telefonate, fino al divieto di scrivere – traccia l’inizio di una spirale di violenza e sopraffazione che vedrà la donna sempre più sola e terrorizzata, abbandonata anche dalla famiglia di origine. Finché lei stessa non deciderà di reagire riprendendo in mano il controllo della propria storia.
“Padiglioni lontani” di N.M. Kaye (Uk)

Siamo nell’India britannica, nel pieno della rivolta dei Sepoy del 1857. Ash è solo un bambino quando perde entrambi i genitori, lei indiana e lui inglese. Sarà la sua balia hindu a salvarlo. Per un caso fortunoso il piccolo Ash salva la vita al giovanissimo Marajà ed entra al suo servizio, fra intrighi di palazzo e peripezie di ogni genere. Fino a quando, ad appena dodici anni, sarà costretto a fuggire per sottrarsi a una fine orrenda. In qualità di ufficiale delle Guide, un corpo scelto dell’esercito britannico, cercherà di difendere la sua terra tanto dai soprusi dei suoi fratelli inglesi quanto dalla violenza di quelli indiani, sempre in cerca di se stesso, lacerato fra le sue due identità. Fra intrighi, tempeste di sabbia, assedi e inseguimenti nella giungla, dovrà superare culture e religioni per incontrare l’amore e segnare la storia dell’India.
“Morituri” di Yasmina Khadra (Algeria)

Il mestiere di poliziotto è pericoloso a qualsiasi latitudine, ma ad Algeri diventa sfida con la morte perché anche i cadaveri sono imbottiti di esplosivo. Lo sa bene il commissario Llob, protagonista di una serie di noir ambientati nella capitale nordafricana: «Algeri è un malessere, vi si estirpano i sogni come ascessi. Algeri è un’anticamera della morte. Dio vi fa da sedativo, e più nessuno vuole credere che la gioia sia un problema di mentalità. Il suo avvenire non avrà riguardi per un’alba spettrale e incerta più di quanto ne abbiano gli sciacalli per un loro simile che soccombe».
“Doppio bianco” di Yasmina Khadra (Algeria)

Ben Ouda, ex diplomatico, un tempo molto potente, viene selvaggiamente assassinato nella sua casa di Algeri. Poche ore dopo, Abad Nasser, professore universitario, subisce la stessa sorte. L’inchiesta stabilisce che uno stesso commando formato da tre uomini è implicato nei due omicidi. All’origine di tanta ferocia sembra esserci un misterioso documento, dai contenuti politici devastanti, che Ben Ouda voleva rendere pubblico…
“Allah non è mica obbligato” di Ahmadou Kourouma (Costa d’Avorio)

“Allah non è mica obbligato a essere giusto in tutte le sue cose di quaggiù”. È questa la conclusione cui arriva il dodicenne protagonista di questo libro nel corso del suo allucinante viaggio alla ricerca della zia attraverso la Liberia e la Sierra Leone stravolte dalla guerra tribale. Orfano di padre e di una madre costretta da un’infezione a “camminare sulle chiappe”, Birahima viene affidato alla zia che vive in Liberia. Lo accompagna Yacuba, uomo d’affari e bandito, pronto all’occorrenza a riciclarsi in stregone e fabbricante di amuleti. Durante il cammino i due vengono rapiti da un manipolo di uomini armati, e Birahima si ritrova a diventare un soldato-bambino per salvare la pelle. Comincia così una serie di avventure picaresche per i due compagni, sballottati qua e là dai rivolgimenti politici e militari, fra colonnelli e banditi di strada, tutti assetati di denaro e potere. Kourouma descrive un mondo stralunato, dominato dalla corruzione, un mondo in cui la magia e gli dèi tradizionali si mescolano al dio denaro, un mondo agghiacciante in cui bambini-soldato vengono sfruttati e muoiono per una causa che ormai non è più chiara per nessuno. Ma noi vediamo questo mondo proprio attraverso gli occhi ingenui e disincantati a un tempo di un bambino soldato, che ha avuto “la magnifica idea di raccontare le” sue “avventure dalla A alla Z. Di raccontare con sapienti parole francesi del francese, tubab, coloniale, colonialista e razzista, i paroloni da africano nero, negro, negro selvaggio e le parole da negro, schifoso, pidgin”. E la lingua del racconto di Birahima, forte e viva, dipinge un quadro coloratissimo, aprendo una finestra su una realtà spesso dimenticata o addirittura ignorata. Allah non è mica obbligato ha ricevuto il Prix Renadout 2000 e il Prix Goncourt des lycéens.
“Aspettando il voto delle bestie selvagge” di Ahmadou Kourouma (Costa d’Avorio)

Il viaggio iniziatico di Koyaga, dittatore africano della Repubblica del Golfo, come tutta la sua vita è una galleria di orrori e meraviglie dell’Africa contemporanea: le prigioni più atroci, le feste più stravaganti, gli eccessi erotici, le più aberranti filosofie del potere, incroci inauditi di credenze magiche, cinismo e saggezza ancestrale… Ne viene fuori un capolavoro della letteratura africana e mondiale, un inedito impasto di epica e di ironia, una delle più straordinarie satire del potere che mai siano state scritte, in cui non si salvano né i militari, etnologi e missionari mobilitati dal colonialismo per trasformare il negro selvaggio in uomo “civilizzato”; né i sanguinari dittatori della decolonizzazione, gli eroi guerrieri, i saggi, crudeli, folli padroni per conto terzi del Africa di oggi. In questa storia romanzata del continente nero, tanto istruttiva quanto divertente, la magia ha un ruolo importante almeno quanto quello delle armi, delle strategie neocolonialiste, della corruzione.
“Vita sessuale di un fervente musulmano a Parigi” di Leila Marouane (Algeria)

Un quarantenne parigino di origini maghrebine, con un passato di fervente islamista, diventa direttore di banca. Belloccio e benestante, decide che è giunto il momento di affittarsi una garçonnière in pieno Saint-Germain-des-Prés, il quartiere più intellettuale e raffinato di Parigi. Basta con i couscous della domenica a casa di mamma nella banlieue di Saint-Ouen, basta con le riunioni di famiglia, basta dover fare da esempio di devozione e cultura religiosa per il fratello minore! È giunto il momento di avere una vita sessuale emancipata, di prendersi l’aperitivo ai Deux Magots o al Café de Flore, di fare shopping negli eleganti negozi del centro. Le avventure iniziano, le ragazze non mancano… Peccato che il nostro eroe sia schiacciato dall’invadenza della madre. Peccato soprattutto (per lui) che le sue disavventure sentimentali siano raccontate da una donna (la scrittrice stessa), interessata più a creare una galleria di personaggi femminili (che ci raccontano altrettanto bene le difficoltà ma anche le sorprese delle giovani donne arabe di oggi) che a impietosirsi sul caso del nostro maschietto.
“Nulla si perde” di Cloé Mehdi (Francia)

Mattia Lorozzi è un ragazzino di 11 anni che vive in una banlieue francese non meglio precisata. Alla sua età ha già conosciuto un carico di sventure sufficiente per una vita intera. I genitori lo hanno, in modi diversi, abbandonato e lui dunque vive con Zé, suo tutore, giovane di buona famiglia dalla quale però si è allontanato dopo la morte accidentale di una compagna di liceo, qualche anno prima. Tutte queste esistenze ruotano per molti aspetti intorno a un episodio di violenza poliziesca di una decina d’anni prima: Said, un ragazzo di banlieue picchiato a morte da un poliziotto. Un passato che riemerge, al pari dei graffiti col volto di Said tracciati sui muri, e subito ricoperti. Inquietudini private e pubbliche che si sommano, distruggendo vite. Un romanzo malinconico e dolente, a tratti cupo, su vite tritate da un tritacarne sociale che non perdona gli errori, ma che nonostante ciò non perde la bussola della speranza, di una possibile ripartenza.
“Il giardino persiano” di Chiara Mezzalama (Italia)

Estate 1981, una famiglia prepara i bagagli per recarsi in un luogo insolito. Il padre, diplomatico, è stato nominato ambasciatore d’Italia a Teheran. Fin dall’arrivo all’aeroporto i personaggi vengono proiettati in un mondo pieno di violenza, interdizioni, donne velate di nero, uomini barbuti, soldati armati e su tutti domina la figura potente e inquietante dell’Ayatollah Khomeini. In questa cornice fosca si apre lo spazio incantato del giardino dell’ambasciata, antica residenza di principi persiani, che nasconde misteri e promesse di giochi senza fine, in un tempo fuori dal tempo, laddove ogni rapporto con l’esterno è fortemente compromesso dalla situazione storica e politica dell’Iran di quegli anni. Romanzo autobiografico, Il giardino persiano racconta la storia di una famiglia alle prese con un paese stravolto dalla rivoluzione islamica e dalla guerra con l’Iraq. La sguardo è quello dell’infanzia che permette di conservare una sorta di candore anche sulla realtà più dura e cruenta. Il gioco diventa il contenitore di emozioni e pensieri trasformando la quotidianità in una grande avventura.
“Avrò cura di te” di Chiara Mezzalama (Italia)

La vita di Bianca gira intorno alla stazione ferroviaria, non può fare a meno di frequentare quel luogo. Si perde tra i volti degli sconosciuti, nella fretta degli arrivi e delle partenze e aspetta un amore. È una donna solitaria, avvolta da una coltre di silenzio che le impedisce di vivere fino in fondo. Vorrebbe amare Alberto, un fotografo che cerca l’inquadratura perfetta, ma non riesce a partire con lui, insegna in un liceo ma non riesce a stabilire un contatto con i suoi alunni. Bianca ha bisogno di proteggersi dall’intensità delle emozioni. Yasmina scappa dal suo paese, il Marocco, dopo essere stata ripudiata da un marito che non aveva scelto. È la storia della sua fuga da una condizione di sottomissione, un viaggio clandestino pieno di pericoli e di incontri importanti, fino all’arrivo in Italia, miraggio di salvezza offuscato da un episodio di violenza. Yasmina ha bisogno di proteggersi dalla brutalità della vita. La diversità radicale nell’esperienza di essere donna non può che provocare un incontro significativo tra le due, un riconoscersi nonostante tutto, fino al consolidarsi di una profonda amicizia che segnerà per entrambe un punto di svolta.
“Mogador” di Martin Mosebach (Germania)

Patrick Elff è un truffatore, presto lo scopriranno tutti. È giovane, ha una carriera molto ben avviata in una banca di Düsseldorf, ma dopo l’inizio di un’inchiesta per il suicidio di un collega, è costretto a scappare prima che ci si accorga del suo coinvolgimento. Dopo aver quindi chiesto aiuto a un potente finanziere marocchino che gli doveva un favore, Elff scappa a Mogador. Nemmeno nella città della Costa Atlantica è facile far perdere le tracce di sé perciò, per sottrarsi all’attenzione della polizia, Elff non alloggia in un hotel ma nella dimora di Khadija, in un microcosmo a sé, un mondo piccolo e nascosto, retto da leggi ben al di là della normalità. Khadija è una prostituta e una mezzana, una prestasoldi, maga e profetessa. Elff, che ritiene di essere rimasto invischiato più o meno involontariamente nella vicenda, si scontra con una donna forte e manipolatrice che vive volontariamente nel culto e nell’idolatria di se stessa. In poco tempo, Elff oltrepasserà i confini della propria cultura di origine, vedrà il mondo degli spiriti, conoscerà orrori che superano le punizioni terrene. Mogador è, al tempo stesso, un poliziesco e un viaggio dell’anima, una descrizione rigorosissima della realtà e un salto nel fantastico che arriva fino al demoniaco. Come sempre, al centro dei romanzi di Mosebach ci sono i suoi personaggi: l’inquietante Khadija e il suo sleale factotum Karim, il potente Monsieur Pereira, la moglie di Elff dall’ironia lucida, Pilar. Il viaggio a Mogador si trasforma in un sogno che riporterà Patrick Elff, con una nuova consapevolezza, alla realtà.
“L’amante palestinese” di Selim Nassib (Libano)

Una storia di desiderio e passione carnale nella Palestina a cavallo tra la fine degli anni Venti e il 1948, anno della proclamazione dello stato di Israele. Tanto dura la turbolenta relazione tra Golda Meir, la pasionaria del sionismo, e Albert Pharaon, banchiere palestinese appartenente a una delle famiglie più in vista del paese. Fra loro irrompe violenta la febbre dei corpi, la frenesia dei gesti, la voglia di ritrovarsi. Incontri fugaci, appuntamenti rubati, attimi di piacere clandestino che si vorrebbero sempre più liberi e spensierati. E invece, su tutto, il peso delle circostanze, dell’ambiente, della Storia. Vent’anni cruciali nella vita dei due protagonisti e nelle vicende del paese, che Golda e Albert affronteranno in maniera sempre diversa e alla fine inconciliabile. Sullo sfondo la Palestina sotto mandato britannico, terra di grandi strategie economiche, astuzie politiche, inevitabili cambiamenti e immobilismi forzati, teatro di arrivi in massa di immigrati e sgomberi altrettanto copiosi di popolazioni locali, fanatismi, violenze, rappresaglie da ambo le parti, confusione e inettitudine politica. Una storia d’amore “quasi impossibile”, come la definisce l’autore stesso, dolente e tragica quanto le vicissitudini in Palestina, di cui Nassib offre una panoramica dettagliata che, parallelamente allo scandaglio di una passione, è anche strumento di conoscenza del passato e possibilità di comprensione del nostro presente.
“Vita a spirale” di Abbase Ndione (Senegal)

Vita a spirale è un romanzo sorprendente, un on the road africano che ci apre ai misteri delle vite, dei sogni, dei divertimenti, del gergo dei giovani africani di oggi. La corruzione e l’assurdità del continente nero sono ampiamente descritte, ma il tono ironico e leggero contrasta con la cupezza con cui i media ci parlano dell’Africa. Non che Ndione nasconda la povertà, l’ingiustizia, la mancanza di orizzonti cui sono condannate queste giovani esistenze, ma porta alla ribalta con umorismo straordinario anche la gioia di vivere, di stare con gli amici, di sognare e la via maestra per raggiungere questi scopi: la canapa o marijuana o erba, che dir si voglia.
“Giardini di consolazione” di Parisa Reza (Iran)

La parabola di Talla e Sardar, due bambini che in un villaggio di montagna sognano una vita migliore, s’innamorano, si sposano, attraversano i monti per arrivare alla periferia di Teheran, parte dagli anni Venti per giungere ai Cinquanta, quando l’Iran, sotto la dittatura modernizzatrice dello Scià Reza Pahlavi, tenta di uscire dal Medioevo ma termina nella brutale stroncatura del breve periodo democratico di Mossadeq nel 1953. I due avranno un figlio, Bahram, brillante studente, appassionato militante della democrazia, che potrà sognare una vita migliore di quella dura dei suoi genitori e frequentare ragazze di cui vede la faccia non più nascosta dal chador. Tutto per lui sembra destinato al successo, ma la Storia non è il cammino trionfale del progresso e Barham e i suoi genitori dovranno fare i conti con le sue capricciose e crudeli giravolte. Dagli anni Venti agli anni Cinquanta del secolo scorso l’Iran, paese fortemente tradizionalista e con un impressionante tasso di analfabetismo, conosce un periodo di modernizzazione. Il primo motore di questa apertura alla modernità e all’Occidente è Reza Khan, diventato scià grazie a un colpo di Stato, che limita il potere temporale dei religiosi, istituisce l’istruzione obbligatoria aprendo scuole in maniera capillare e proibisce l’uso del chador. Dal 1950 al 1953 l’Iran vive addirittura un periodo di autentica democrazia con il governo Mossadeq, finito in un colpo di Stato pilotato dagli anglo-americani che porterà al ritorno dell’assolutismo e, pochi anni dopo, all’integralismo degli ayatollah.
“L’appeso di Conakry” di Jean Cristophe Rufin (Francia)

Com’è possibile che Aurel Timescu, con il suo accento rumeno e la sua aria da anni Trenta, sia console di Francia? Eppure è così, anche se nella diplomazia transalpina ricopre ruoli subalterni e gli vengono assegnati incarichi di second’ordine. Questa volta è in piena Africa, più precisamente in Guinea, lui che odia il caldo. Prova a resistere, suda, di notte beve tokaj e suona il piano. Fino al giorno in cui avviene finalmente l’unica cosa che può ancora appassionarlo: un delitto senza spiegazione apparente. Viene ritrovato un ricco turista bianco appeso all’albero maestro del suo yacht. Morto. La polizia locale e le autorità diplomatiche francesi brancolano nel buio. Ma Aurel, lo strano console, avvia la sua indagine personale. Vestito con il suo cappottone invernale nonostante i quaranta gradi all’ombra, ispirato dalle sue notti di alcol e di musica, si lancia senza paura in un’avventura che lo porterà dai bassifondi africani ai vertici della finanza internazionale.
“Frankenstein a Baghdad” di Ahmed Saadawi (Iraq)

Il romanzo è ambientato a Baghdad durante l’occupazione americana nel 2005-2006. La città è costellata di esplosioni kamikaze, percorsa da violenze settarie tra sciiti e sunniti e altri gruppi, priva di un ordine statale e civile vero e proprio, immersa nella precarietà economica. Un misterioso personaggio raccoglie e mette insieme i pezzi di cadaveri prodotti dalle esplosioni e crea un Frankenstein, un mostro che comincia a vivere e a vendicare le vittime. Un po’ alla volta questo mostro, su cui indagano inutilmente polizia e giornali, terrorizza la popolazione di Baghdad, passando a colpire anche vittime innocenti.
“Lo scherzo di Solimano” di Mélanie Sadler (Francia)

Javier Leonardo Borges insegna storia all’università di Buenos Aires da troppi anni. La sua vita cambia completamente quando, studiando un manoscritto turco del Cinquecento, tra i fregi floreali che lo decorano scopre una divinità azteca. Cosa ci fa una dea precolombiana in un documento ottomano risalente addirittura a qualche anno prima che gli spagnoli incontrassero gli aztechi? Così si rivolge per un consulto a un suo collega turco, Hakan, che approfitta della pausa estiva per indagare un po’ su ciò che a prima vista sembra un abbaglio bello e buono preso dal professore argentino. È invece l’inizio di una girandola di colpi di scena che rimbalzano dalle piramidi di Tenochtitlan in Messico alle botole segrete della moschea di Suleymaniye a Istanbul alle grigie aule dell’università di Buenos Aires, da Montezuma a Solimano il Magnifico a Carlo V, in un pastiche storico che oltre a mettere sottosopra la vita dei due austeri accademici cambierà il nostro sguardo sulla storia del mondo.
“Il poeta di Gaza” di Yishai Sarid (Israele)

Un giovane ufficiale dei servizi segreti israeliani del ramo antiterrorismo ottiene un incarico differente dal solito: fingendo di essere un aspirante romanziere deve avvicinare l’affascinante scrittrice Daphna. La donna è israeliana ma per qualche motivo i servizi segreti vogliono usarla per avvicinare il suo amico Hani, conosciutissimo poeta palestinese. L’innominato protagonista è in crisi, non sa più cosa è giusto e cosa è sbagliato nel suo lavoro, e questo si ripercuote violentemente nel rapporto con la moglie e con il suo bambino. Anche la famiglia di Daphna è in crisi a causa dei problemi del figlio tossicodipendente inseguito da un trafficante di Tel Aviv. Solo Hani pare trovare conforto nel rapporto con i figli (vero obiettivo dei servizi segreti) allevati secondo l’educazione palestinese tradizionale. Man mano che il protagonista penetra nelle vite di Daphna e Hani, i due fanno riemergere in lui sentimenti soffocati da anni di attentati, interrogatori muscolari e torture, facendo vacillare le sue certezze. Malgrado ciò porta avanti la sua missione obbligato dal senso del dovere e dai suoi solidi riflessi da soldato… Ma per quanto ancora potrà resistere? Un libro stupendo sulle contraddizioni dell’Israele di oggi, dei rapporti tra i vari settori della società, sul vivere sempre sotto pressione in un paese in guerra e su come ciò influenzi l’etica pubblica e personale.
“Terra violata” di Mohamed Mbougar Sarr (Senegal)

Il Sumal è un paese felice, almeno fino a quando gli uomini della Fratellanza, feroci integralisti islamici, non occupano il nord dello stato. Per la maggior parte della popolazione, non integralista, comincia un incubo fatto di violenza, barbarie, giustizia sommaria e rigido moralismo in osservanza alle norme della sharia. In queste difficili condizioni un ristretto gruppo di intellettuali decide di fare opera di resistenza attraverso un giornale di opposizione che scatena il furore di Abdel Karim, crudele capo della polizia islamica. Ne consegue un’immediata e spietata repressione che fa sorgere dubbi morali al dottor Malamine, al professor Déthié, alla bella informatica Madjigueen Ngoné e agli altri autori del giornale clandestino: qual è l’effettiva utilità della loro azione, se deve portare all’arresto e alla tortura di chiunque legga o detenga una copia del foglio ribelle? Nel frattempo si scatena la caccia ai misteriosi giornalisti condotta da Abdel Karim con una micidiale alternanza di brutalità spiccia e astuzie psicologiche. Ma non c’è clima di terrore in grado di impedire la nascita dell’amore, che a un certo punto sboccia potente tra due membri del gruppo segreto. Amore e morte si mischiano e si sovrappongono nella vita degli avventurosi protagonisti.
“La notte di fuoco” di Eric-Emmanuel Schmitt (Francia)

Febbraio 1989. Un gruppo di escursionisti francesi parte da Tamanrasset per una spedizione di dieci giorni a piedi nel cuore del deserto del Sahara. Oltre ai dieci europei, del gruppo fanno parte una guida tuareg e tre dromedari che trasportano cibo e masserizie. Non si tratta di turisti ordinari, ma di gente motivata: c’è Gérard, il regista che deve girare un film su Charles de Foucauld, mistico del secolo scorso che ha vissuto tanti anni in mezzo ai tuareg; c’è l’astronomo Jean-Pierre, per il quale il deserto è prima di tutto un luogo privo di qualsiasi inquinamento luminoso; c’è Thomas, il geologo… E c’è un giovane scrittore ventottenne, Eric-Emmanuel Schmitt, chiamato da Gérard a scrivere la sceneggiatura del film su Foucauld. Fino a un certo punto il romanzo, autobiografico, ci narra le peripezie e le sorprese dei viaggiatori, la scomodità dei bivacchi, le meraviglie della natura incontaminata. Poi il giovane scrittore si perde, si ritrova da solo, di notte, nel deserto, senza cibo né acqua, quasi senza vestiti, e si chiede se sopravviverà. È il momento culminante dell’avventura, ma non la cosa più importante. Molto più importante è l’esperienza mistica che vivrà quella notte, la rivelazione di qualcosa di infinito e potentissimo che travalica gli orizzonti umani e che lui, per mancanza di altri termini, chiamerà Dio.
“Il dossier Gerusalemme” di Joel Stone (Usa)

In una Gerusalemme teatro del continuo conflitto tra arabi ed ebrei si aggira Levin, un ex agente dei servizi segreti israeliani. Ormai incapace di trovare la propria collocazione in una città fatta di schieramenti e fazioni, Levin ritrova la vita quando un amico gli chiede di indagare sulla moglie. Seguendo Deborah per le vie della città sacra, Levin ci accompagna per i vicoli tortuosi dei propri dilemmi esistenziali, della difficile convivenza anche ideologica con gli attacchi dei kamikaze e le violente ritorsioni delle forze israeliane. E quando il presunto amante della donna cade vittima di quello che sulle prime pare l’ennesimo attentato terrorista di matrice araba ecco che per Levin si presenta un altro momento di ambiguità, un nuovo motivo di indecisione. Continuerà a indagare sulla misteriosa e sensuale Deborah, ma sarà al contempo da lei assunto per far luce su quest’ultimo delitto.
“L’attrice di Tehran” di Nahal Tajadod (Iran)

Le protagoniste di questo romanzo sono due donne, due iraniane. La prima, nata dopo la rivoluzione del 1979, e che ha conosciuto solo il regime islamico, è una giovane attrice di grande successo. La seconda, scrittrice rinomata, è cresciuta nell’Iran dello Scià. La ragazza racconta alcuni episodi della propria infanzia, le vessazioni subite dai familiari in quanto laici ed artisti, la folgorante carriera nel cinema, il peso della censura e i lunghi interrogatori da parte dei Guardiani della Rivoluzione. Il suo racconto testimonia di un Iran sconosciuto alla scrittrice, che ricorda invece la forzata modernizzazione della società al tempo della monarchia filo-occidentale dello Scià. Dal confronto di queste due visioni nasce un romanzo affascinante, in un gioco di specchi che concorre a definire il ritratto di due donne decise ad affermare la propria identità, il proprio talento, e a vivere la complessa evoluzione di un paese pieno di contraddizioni e di grande ricchezza culturale.
“Requiem per Naaman” di Benjamin Tammuz (Israele)

Requiem per Naaman è la storia di quattro generazioni della famiglia Abramson. Il “fondatore” emigra in Palestina alla fine dell’Ottocento, ma sua moglie non sopporta la dura vita dei coloni, fugge nel deserto e si uccide. Anche il figlio Naaman, musicista sensibile, lontano dallo spirito combattente del sionismo, fugge a Parigi e nella follia. E nel sangue dei nipoti e dei figli dei nipoti continua a scorrere una duplice, contraddittoria vocazione: quella spirituale, utopistica e poetica, che non ha bisogno di un luogo fisico di approdo e che però spesso sfocia nella pazzia; e quella “territoriale”, concreta, che alimenta la fondazione dello stato d’Israele. Attraverso il racconto di questa “maledizione”, Tammuz scrive insieme un requiem per il sogno sionista e un’epopea degli ebrei del ventesimo secolo, un’epopea senza retorica fatta di tante, diverse e affascinanti storie di donne e di uomini.
“Il frutteto” di Benjamin Tammuz (Israele)

Il frutteto, un altro magnifico romanzo dell’autore de Il Minotauro, ancora una volta ha come scenario il Mediterraneo, spazio di sensuali atmosfere e incrocio imprevedibile di destini. In particolare la Palestina dove lo scontro e le passioni sembrano assumere sempre tinte più violente che altrove. La storia raccontata è quella di due fratellastri (stesso padre ebreo, ma madri diverse: una ebrea, l’altra musulmana), separati da un odio micidiale, in lotta per la stessa donna e per la stessa terra. Il frutteto conteso passa di mano, viene distrutto da siccità e cavallette, rinasce, è curato amorevolmente, sacrifica esistenze, vede passare generazioni, ma resta, resiste come la terra di Palestina che simboleggia, sulla quale e per la quale popoli fratelli devono scegliere continuamente tra pace e guerra.
“Fotofinish” di Tito Topin (Marocco)

Viaggio nostalgico nel Marocco alla vigilia dell’indipendenza, romanzo noir sulla memoria, Fotofinish è tutto ciò, ma soprattutto il resoconto pudico ed emozionante del crimine commesso da una società che non ha potuto evitare il naufragio della sua gioventù. Chi era André? Un fascista membro di un gruppo che vuole salvare il protettorato a tutti i costi o un comunista partigiano della causa di liberazione del Marocco? Un seducente eroe dell’ombra o un vigliacco mitomane? Il figlio di un eroico aviatore caduto alla fine della Seconda guerra mondiale o piuttosto di un vivo, ma miserabile funzionario coloniale? Al termine di un’indagine che ricostruisce la vita trepidante di un gruppo di amici abitati da passioni amorose e politiche, Valentine e Christian troveranno la verità atroce e dolorosa della vita di André, che è anche quella della loro vita. I due atterrano a Casablanca, dove non erano più tornati da quarant’anni. Stanno insieme da sempre, ma si capisce subito che il grande amore della vita di Valentine è stato André, del cui misterioso suicidio cercano di capire le cause. Incontrano uno alla volta alcuni uomini e donne, che hanno conosciuto André e con cui hanno diviso la loro giovinezza, sul finire del protettorato francese in Marocco. Dietro la verità ambigua che cercano di ricostruire emerge il ritratto struggente di una generazione divisa tra dolce vita coloniale, ansie di ribellione, suggestioni esistenzialiste e confronto con la fine di un mondo.
“Rose d’Arabia” di AA. VV. (Arabia Saudita)

I racconti di questa antologia offrono un’inedita panoramica di uno degli universi femminili più nascosti della nostra epoca. L’higiab, il tradizionale velo nero che nasconde il volto delle donne saudite, è il simbolo della condizione femminile in Arabia Saudita. Ed è una presenza ingombrante in molti di questi racconti. La società saudita è rigidamente divisa in due, uno sdoppiamento tra popolazione maschile e popolazione femminile unico al mondo: doppie università, doppie redazioni di giornali, doppi ospedali, doppi ministeri, ma anche doppi, e separati, ingressi negli uffici e nei ristoranti. La novità è costituita dal ruolo sempre più dinamico che le donne saudite rivestono nella vita professionale del loro paese, creando contraddizioni nell’ordine tradizionale che assegna alla donna una posizione subalterna. Emerge, ad esempio, in alcuni racconti, una critica della poligamia e del ripudio, il divorzio unilaterale da parte dell’uomo. Cura e introduzione di Isabella Camera D’Afflitto.
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