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Seconda puntata del “Progetto Kitab” con le case editrici La Nave di Teseo e Baldini+Castoldi che hanno presenti nel loro catalogo ben 56 libri affini al nostro progetto
Sommario
Al fine di ottimizzare al massimo la vostra esperienza, vi metto l’elenco di tutte e 56 le pubblicazioni che troverete in questa lista:
- “Le cose crollano” di Chinua Achebe (Nigeria)
- “Non più tranquilli” di Chinua Achebe (Nigeria)
- “La freccia di Dio” di Chinua Achebe (Nigeria)*
- “Resta con me” di Ayòbámi Adébáyò (Nigeria)
- “Il pianista di Yarmouk” di Aeham Ahmad (Siria)
- “Il giorno del giudizio” di Rasha Al-Amir (Libano)
- “Il viaggio di Vittorio” di Egidia Beretta Arrigoni (Italia)
- “La strada di casa” di Sejal Badani (Usa)
- “Corriere di notte” di Hoda Barakat (Libano)
- “Diario di un criminologo” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Insonnia” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “L’hammam” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “L’amicizia e l’ombra del tradimento” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Il libro del buio” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “L’Albergo dei Poveri” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)*
- “La punizione” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Il razzismo spiegato a mia figlia” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Le pareti della solitudine” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Mia madre, la mia bambina” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Il matrimonio di piacere” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “La specchio delle falene” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Lo scrivano” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Il terrorismo spiegato ai nostri figli” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)
- “Sotto il suo passo nascono i fiori” di Francesca Bocca-Aldaqre e Pietrangelo Buttafuoco (Italia)
- “Mia sorella è una serial killer” di Oyinkan Braithwaite (Nigeria)
- “L’Alchimista” di Paulo Coelho (Brasile)
- “Manuale del guerriero della luce” di Paulo Coelho (Brasile)
- “Lettere d’amore del profeta” di Paulo Coelho (Brasile)
- “Il manoscritto ritrovato ad Accra” di Paulo Coelho (Brasile)
- “Monte cinque” di Paulo Coelho (Brasile)
- “Aleph” di Paulo Coelho (Brasile)
- “Zabor” di Kamel Daoud (Algeria)
- “Le mie indipendenze” di Kamel Daoud (Algeria)
- “Il giorno che vennero a prenderci” di Janine Di Giovanni (Usa)
- “Tre volte a Gerusalemme” di Fernando Gentilini (Italia)
- “La città di pietra” di Ismail Kadare (Albania)
- “Le mattine al Café Rostand” di Ismail Kadare (Albania)
- “Aprile spezzato” di Ismail Kadare (Albania)
- “La provocazione” di Ismail Kadare (Albania)
- “La Bambola” di Ismail Kadare (Albania)
- “Gli scali del Levante” di Amin Maalouf (Libano)
- “Le crociate viste dagli arabi” di Amin Maalouf (Libano)
- “Il naufragio delle civiltà” di Amin Maalouf (Libano)
- “Origini” di Amin Maalouf (Libano)
- “Gli angeli dei libri di Daraya” di Delphine Minoui (Francia)
- “La libertà” di Ben Okri (Nigeria)
- “La timidezza delle rose” di Serdar Özkan (Turchia)
- “Alla luce di quello che sappiamo” di Zia Haider Rahman (Bangladesh)
- “Prigioniere” di Amina Sboui (Tunisia)
- “Il paese degli altri” di Leila Slimani (Algeria)
- “Sul far del giorno” di Wole Soyinka (Nigeria)
- “Rom genti libere” di Santino Spinelli (Italia)
- “Partire” di Mahmoud Traoré (Senegal)
- “Quelli che hanno paura” di Dima Wannous (Siria)
- “Il mago dei corvi” di Ngugi Wa Thiong’o (Kenya)
- “Scrivere per la pace” di Ngugi Wa Thiong’O (Kenya)
I libri con il link sono quelli che sono già presenti sul sito, mentre quelli con l’asterisco (*) sono già posseduti ma non ancora letti/portati sul sito.
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“Le cose crollano” di Chinua Achebe (Nigeria)

Okonkwo è un guerriero, un lottatore, un uomo ambizioso e rispettato che sogna di divenire leader indiscusso del suo clan. Dal suo villaggio Ibo, in Nigeria, la fama di Okonkwo si è diffusa come un incendio in tutto il continente. Ma Okonkwo ha anche un carattere fiero, ostinato: non vuole essere come suo padre, molle e sentimentale, lui è deciso a non mostrare mai alcuna debolezza, alcuna emozione, se non attraverso l’uso della forza. Quando la sua comunità è costretta a fronteggiare l’irruzione degli europei, l’ordine delle cose in cui Okonkwo è nato e cresciuto comincia a crollare, e la sua reazione sarà solo il principio di una parabola che lo porterà nella polvere: da guerriero temuto e venerato, a eroe sconfitto, oltraggiato.
“Non più tranquilli” di Chinua Achebe (Nigeria)

Obi Okonkwo è un giovane uomo colto e ricco di ideali, grazie al privilegio di un’educazione ricevuta in Gran Bretagna. Ora è tornato in Nigeria per ricoprire un incarico nei servizi civili. In questo ruolo, viene a stretto contatto con la corruzione dilagante nel governo del paese, unico sistema che sembra davvero amministrare le cose. Obi riesce a resistere alle mazzette che gli vengono offerte, ma quando si innamora di una ragazza di un ceto sociale inferiore – con la disapprovazione dei suoi genitori – affonda in un subbuglio emotivo e finanziario sempre più profondo. Diventa improvvisamente difficile resistere alla tentazione per i soldi facili e Obi si infila in una trappola da cui non riesce a scappare. Attraverso il ritratto di un uomo perduto nella disillusione e nel limbo culturale che contraddistingue questa nuova era della Nigeria, «Non più tranquilli» è il secondo volume della trilogia di Chinua Achebe, dedicata a tre generazioni africane colte sotto l’impatto del colonialismo e inaugurata da «Le cose crollano».
“La freccia di Dio” di Chinua Achebe (Nigeria)*

La freccia di Dio, pubblicato nel 1964 a sei anni di distanza da Le cose crollano e Non più tranquilli, rappresenta il completamento della “Trilogia africana” di Chinua Achebe, considerata universalmente il suo capolavoro. Ezeulu è il sacerdote di una divinità che rappresenta l’unità dei sei villaggi di Ulmuaro. È un uomo capace di giudizio e anche di una certa diplomazia, ma la sua autorità sta pian piano venendo meno di fronte alla minaccia degli altri: i bianchi funzionari del nuovo governo coloniale inglese. Non crolla però la sua sicurezza: è una freccia nell’arco di Dio, di questo è sicuro, e forte di tale convinzione si prepara a guidare il suo popolo, fino alla distruzione e all’annientamento, se sarà necessario. Crudo e potente, La freccia di Dio è il ritratto indimenticabile della perdita della fede, della lotta fra la tradizione e il cambiamento, della convivenza di culture e religioni diverse, nel flusso inarrestabile di una storia che esonda dal tempo e dai continenti.
“Resta con me” di Ayòbámi Adébáyò (Nigeria)

Yejide e Akin sono giovani e innamorati, si sono sposati subito dopo essersi conosciuti all’università di Lagos, in Nigeria. In molti si aspettavano che Akin volesse prendere numerose mogli, ma lui e Yejide sono felici, la poligamia non fa per loro, non è un desiderio, né una necessità. Quattro anni più tardi, però, il pensiero di non aver avuto ancora dei figli comincia a divenire ingombrante. Hanno provato di tutto, medici della fertilità e guaritori, cure improbabili e strane miscele di erbe, ma Yejide non è riuscita a rimanere incinta. È comunque fiduciosa, sicura del suo matrimonio e nonostante le pressioni della suocera e le tensioni con il marito, dà per scontato di avere ancora del tempo, finché un giorno la sua famiglia non suona alla porta presentandole una giovane donna, la seconda moglie di Akin. Furiosa, scioccata e livida di gelosia, Yejide capisce che l’unica possibilità di salvare il suo matrimonio è restare incinta, a un prezzo di gran lunga più alto di quello che avrebbe mai osato immaginare. Resta con me, l’acclamato romanzo di esordio di Ayòbámi Adébáyò, è un libro di immensa forza emotiva sull’amore e su ciò che siamo disposti a fare per non perderlo.
“Il pianista di Yarmouk” di Aeham Ahmad (Siria)

Un giovane suona il pianoforte in mezzo a una strada bombardata. Suona per i suoi vicini, soprattutto per i bambini, per distrarli dalle atrocità della guerra: un’immagine che ha fatto il giro del mondo diventando un simbolo della catastrofe in Siria, ma anche dell’inestinguibile volontà dell’uomo di opporsi in ogni modo alla distruzione. Il suono di quello strumento ha raggiunto e commosso milioni di persone nel mondo su YouTube. Ora Aeham Ahmad racconta la propria storia: l’infanzia in una Siria ancora in pace, l’inizio delle rivolte preludio di una guerra terribile, la fuga per la stessa via battuta da migliaia di disperati. Un lungo e pericoloso viaggio via terra, la drammatica traversata del Mediterraneo, le insidie della rotta balcanica. Fino alla nuova vita in Germania, dove ha realizzato il suo sogno di artista e si esibisce nelle più importanti sale concerti, ma è costretto a vivere lontano dalla sua famiglia rimasta in Siria. Allora come oggi, è la musica che gli ha salvato la vita a dargli conforto e infondergli coraggio. La storia vera, raccontata in prima persona, di un pianista che ha sfidato le bombe e i terroristi in nome della sua musica, un caso mondiale, una commovente testimonianza di resistenza e fede nell’arte.
“Il giorno del giudizio” di Rasha Al-Amir (Libano)

Nato in un paesino di montagna, in un mondo arabo volutamente imprecisato, il quarantenne protagonista di questo romanzo ha compiuto gli studi tradizionali degli uomini di religione, scienze del Corano e delle tradizioni profetiche, teologia, diritto, lingua e letteratura araba, per poi divenire impiegato nel ministero degli Affari Religiosi. Quando si trasferisce nella capitale per ricoprire il ruolo di imam, predicatore e insegnante di una importante e decisiva moschea, l’incontro con una giovane donna cambia radicalmente la sua vita. Tra loro due nasce ben pre- sto una grande amicizia, fondata sulla reciproca ammirazione per il grande poeta al-Mutanabb ̄ı e che a poco a poco assume i tratti dell’amore. Minacciato di morte, la confessione dell’imam, raccolta faticosamente durante la sua reclusione in seguito a una fatwa emanata contro di lui dai fondamentalisti islamici, diventa così non solo il pretesto per ripercorrere la storia di una vita, ma anche uno strumento di salvezza e liberazione: per conservare la purezza del primo incontro, e l’enorme patrimonio di intesa, agitazione, emozione e intimità che questo amore ha significato. Con una scrittura di rara bellezza, brulicante di riferimenti religiosi, politici e letterari, questo romanzo è un inno all’amore, una vivificazione dell’antico mito dell’umanizzazione dell’uomo per mano di una donna e un appello vibrante a un Islam liberato dalle scorie che lo deturpano.
“Il viaggio di Vittorio” di Egidia Beretta Arrigoni (Italia)

Egidia Beretta, mamma di Vittorio Arrigoni, ci racconta la breve vita di suo figlio, il cui barbaro assassinio, avvenuto a Gaza nella notte tra il 14 e il 15 aprile 2011, è stato pianto dai giovani di tutto il mondo. Giovani che attraverso Vittorio hanno conosciuto e capito come si può dare un senso a Utopia, come la sete di giustizia, di pace, di fratellanza e di solidarietà abbiano ancora cittadinanza e che, come diceva Vittorio, la Palestina può anche essere fuori dall’uscio di casa. Vittorio, il volontario, l’attivista, il pacifista, la voce libera che raccontava Gaza dall’interno. Racconto che ci ha permesso di conoscere giorno dopo giorno una situazione mai così ben rappresentata, senza slogan, ma con la ferma convinzione che conoscere è il primo passo per la soluzione. Fra madre e figlio la corrispondenza è frequente – io e Vittorio eravamo molto uniti, come idee, obiettivi e ideali, sono molto orgogliosa di lui, è sempre stato così – e in questo libro Egidia Beretta ne ha fatto una selezione dettata dal sentimento e dall’importanza del contenuto, che ci fa capire quanto fosse forte il legame madre-figlio: …domenica scorsa ero a Nazareth. Percorro strade che rappresentano la nascita, il viaggio esistenziale, il miracolo, il calvario di un Dio che di queste terre sembra essersi scordato. Lo faccio anche per te, mummy, per quella devozione fanciullesca…
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“La strada di casa” di Sejal Badani (Usa)

Quando suo padre entra in coma, Sonya, giovane fotografa di origini indiane, torna con riluttanza dalla famiglia che aveva abbandonato anni prima. Nel frattempo Sonya ha vissuto libera da ogni legame, mentre la sorella maggiore, Marin, si è costruita con tenacia e determinazione la brillante carriera che ha caparbiamente voluto; Trisha, la preferita delle tre figlie, conduce un’esistenza perfetta, quella cui si è sempre sentita destinata. Ma quando le tre donne si riavvicinano, la corazza sotto cui hanno rinchiuso il loro terribile passato cede alla marea della memoria. Mentre l’uomo si aggrava, riemerge una storia famigliare di razzismo subìto e violenze domestiche, e l’intera famiglia si ritrova a combattere con i demoni e i segreti del proprio passato, incerta se sperare la morte o la sopravvivenza del padre. Alla fine, solo percorrendo insieme il sentiero impervio e liberatorio della verità, le tre donne giungeranno alla scelta più alta, quella fra accettazione e oblio.
“Corriere di notte” di Hoda Barakat (Libano)

In viaggio dal mondo arabo verso l’occidente, per trovare asilo e un nuovo inizio: uomini e donne che incrociano i loro destini per fuggire dal passato e si scontrano con l’illusione del futuro, la possibilità del fallimento. Corriere di notte ha la forma di un romanzo epistolare atipico e struggente che raccoglie l’ultima lettera scritta da ciascun personaggio: un clandestino albanese scrive alla donna amata, un’amante aspetta il suo uomo in una camera d’albergo, un ex carceriere in fuga si rivolge alla sua famiglia, una donna racconta al fratello che la loro madre è morta, un giovane omosessuale si dichiara al padre. Queste confessioni, disperate e appassionanti, sono il tentativo di tenere insieme i pezzi di una storia corale e identitaria, che racconta delle contraddizioni della società araba, della violenza sfaccettata, del potere, della fuga, del miraggio condiviso di un luogo in cui è ancora possibile vivere. Ecco che, proprio sul punto di perdersi, le lettere incontrano un’improvvisa deviazione nel loro cammino, un destino inatteso in cui l’urgenza della parola riuscirà a risuonare anche nel paesaggio sordo e chiassoso di un mondo in dissoluzione, dove tutto potrebbe crollare eppure non cessa di chiamare forte la vita, l’amore.
“Diario di un criminologo” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

“Questo è il mio lavoro. Faccio il criminologo. Arrivo dopo la morte, più veloce dei becchini, più calmo della polizia, più sereno dei parenti della vittima.” Il protagonista di questa storia è un uomo giusto, o almeno spera di esserlo, perché in terra di Camorra le parole hanno la stessa importanza delle azioni che si compiono. Nelle strade di un’infanzia senza innocenza, intrappolata nella violenza, dove la scuola non riesce a salvare tutti, fare il criminologo significa vivere quotidianamente il peso dell’ingiustizia. Analizzare la scena di un delitto, interrogare un baby-killer, quando si può morire per pochi soldi o per sbaglio, significa non perdere il coraggio e la speranza.
“Insonnia” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

Uno sceneggiatore di Tangeri che soffre gravemente di insonnia scopre che per poter finalmente dormire deve uccidere qualcuno. Incomincia da sua madre. Sembra assurdo, anzi è assurdo – è sempre stato un uomo onesto, rispettoso, gentile – ma solo uccidendo, come in un gioco surreale, guadagna dei punti-sonno. Per minimizzare il problema, decide di limitarsi a persone già in fin di vita; la sfida è riuscire a essere lì, al loro capezzale, un attimo prima che spirino da sé. Il protagonista dà così il via a imprese rocambolesche per infilarsi nelle camere di ospedale: si finge infermiere, figlio, parente… è disposto a tutto, pur di essere lì al momento giusto. Quando però si trova a uccidere un vecchio torturatore del regime di Hassan II, il “gioco” ai suoi occhi acquista un nuovo significato: sa di aver fatto giustizia e quella morte gli procura mesi di pace notturna. Più è rilevante la vittima, più ne guadagna il suo sonno. Lo sceneggiatore, capace di commettere crimini dalla perfezione cinematografica, prende dunque a misurarsi con prede sempre più grosse, in una spirale inquietante di bisogno e violenza. Riuscirà a vincere una volta per tutte l’insonnia? Non ne è affatto sicuro, può bastare un solo errore nella messinscena per far precipitare tutto.
“L’hammam” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

Un pianista marocchino, ricco e famoso in tutta Europa, vive a Parigi con una moglie che lo ama e lo sostiene. Eppure non è felice. Vive nell’ossessione di sentirsi sporco. Nonostante continue docce e bagni caldi sente cattivi odori emanati dal proprio corpo. La donna lo tranquillizza, il medico gli dice che è solo una sua fantasia. Ma per “guarire” dovrà recuperare le proprie radici, i luoghi dell’infanzia e le abitudini dimenticate. Torna così in uno dei vecchi hammam che frequentava da ragazzo, dove incontra il vecchio Bilal, un massaggiatore-filosofo che conosce il bene e il male, e Haj Ben Brahim, un uomo colto e religioso. Qui, tra libri usati come talismani e un’antica saggezza che somiglia alla stregoneria, troverà in se stesso la chiave per ricominciare a vivere.
“L’amicizia e l’ombra del tradimento” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

“ L’amicizia è una religione senza Dio né Giudizio finale. E non c’è neppure il diavolo. Una religione che non è estranea all’amore. Ma un amore dove la guerra e l’odio sono proscritti, dove il silenzio è possibile.” L’amicizia, occasionale o fedele, è un sentimento che non tollera alcuna mancanza. È un atto di fede totale nell’altro, al punto che il suo tradimento è vissuto come una forma silenziosa di assassinio. Tahar Ben Jelloun esplora questo giardino segreto, le sue meraviglie e le sue ferite, e per farlo racconta di sé: dall’infanzia ad oggi, dalla scuola coranica al premio Goncourt, il viaggio di uno scrittore nella memoria di un sentimento raro e prezioso.
“Il libro del buio” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

“La notte ci vestiva. In un altro mondo, si sarebbe detto che era piena di attenzioni per noi. Nessunissima luce. Mai il benché minimo filo di luce. Ma i nostri occhi, pur avendo perso lo sguardo, si erano adattati. Vedevamo nelle tenebre, o credevamo di vedere.” Il 10 luglio 1971 un commando militare irrompe nella residenza estiva del re a Skhirate, in Marocco. Ma il colpo di stato fallisce. I soldati che hanno preso parte alla missione vengono rinchiusi in una prigione sotterranea, sepolti nelle tenebre per diciott’anni. Parte così, da una delle pagine più tragiche della storia del Marocco, Il libro del buio. Da un atto di denuncia, da una testimonianza politica e civile. Ma, pagina dopo pagina, la scrittura diviene specchio e scandaglio dell’esistenza umana, fino a scoprire, dopo la discesa negli inferi della disperazione, il germe della purezza assoluta.
“L’Albergo dei Poveri” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)*

È possibile dare una svolta alla propria vita? Uno scrittore marocchino, sposato a una donna che non ama, spera di averne l’occasione andando a Napoli, dove è stato invitato per scrivere un libro sulla città. E gli basta arrivarci, a Napoli, per capire che tutto è possibile. Gli basta approdare all’Albergo dei Poveri, spettrale ex ricovero per gli indigenti, e incontrare un’anziana signora che vive sottoterra, insieme ai ratti e a una piccola corte dei miracoli. Ascoltandola, lo scrittore apprende mille storie della città e dei suoi abitanti, e finisce per raccontare la propria: è alla ricerca della donna che ama, sebbene non l’abbia mai vista… Questa donna esiste davvero o è una creatura fantastica? E le storie della signora sono accadute sul serio?
“La punizione” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

Marocco, marzo 1965: novantaquattro studenti, colpevoli di aver manifestato pacificamente nelle strade a Casablanca e Rabat, vengono puniti dal governo del re Hassan II. La forma di prigionia loro imposta è subdola, ma non per questo meno violenta: una mattina tutti i ragazzi ricevono nelle loro case un obbligo di comparizione in caserma per prestare servizio militare e da quel giorno ha inizio una reclusione che durerà per diciannove mesi. I ragazzi vengono mandati in luoghi isolati, lontani dalle loro famiglie e da chiunque potrebbe aiutarli, sono continuamente sottoposti a maltrattamenti e umiliazioni, obbligati a compiere esercizi militari gratuiti e pericolosi, sono denutriti, vessati e sfruttati quasi fino alla morte, senza mai ricevere alcuna spiegazione, senza mai riuscire a sapere la ragione del destino loro imposto. Tra i novantaquattro studenti sottoposti a questa barbarie c’era anche Tahar Ben Jelloun, che per riconquistare la sua piena libertà, come molti altri, dovrà in realtà aspettare diversi anni: il colpo di stato del 1971. Per poter tornare con la mente a quei ricordi c’è voluto molto di più: cinquant’anni per riuscire a raccontare la storia di quei lunghi giorni che hanno segnato per sempre la sua giovinezza, formando la sua coscienza e alimentando intimamente la sua vocazione di scrittore.
“Il razzismo spiegato a mia figlia” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

“ Un bambino è curioso. Fa molte domande e si aspetta risposte precise e convincenti. Non bariamo con le domande di un bambino. Mentre mi accompagnava a una protesta contro un disegno di legge sull’immigrazione, mia figlia mi ha chiesto del razzismo. Abbiamo parlato molto. I bambini sono in una posizione migliore di chiunque altro per capire che non nasciamo razzisti ma a volte lo diventiamo. Questo libro, che cerca di rispondere alle domande di mia figlia, è per i bambini che non hanno ancora pregiudizi e vogliono capire meglio la realtà. Per quanto riguarda gli adulti che lo leggeranno, spero che li aiuti a rispondere alle domande, più imbarazzanti di quanto pensano, dei propri figli.”
“Le pareti della solitudine” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

Arrivato a Parigi negli anni ’70, Ben Jelloun ha lavorato come psicologo in un centro per le malattie psicosomatiche: qui ha incontrato e ascoltato per anni un centinaio di pazienti nordafricani, entrando così in quel mondo emotivo segreto che gli immigrati custodiscono, spesso ignorati dal resto della società. Cosa sognano? Cosa soffrono? Come sopportano la mancanza, la solitudine, il desiderio, le privazioni fisiche? Per Ben Jelloun nessun approccio scientifico o saggistico può davvero raccontare la verità di queste esperienze, solo la letteratura può tentare di farlo. Così nasce Momo, il protagonista di questo romanzo, un immigrato nordafricano “inventato” dall’autore per farsi portatore di una lucida denuncia del razzismo, in un’opera letteraria dal grande respiro poetico.
“Mia madre, la mia bambina” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

La storia commovente della malattia di Lalla Fatma, madre di Tahar, colpita dall’Alzheimer: il ritratto di una donna forte, fiera, che si dissolve sotto gli occhi del figlio. Dal suo letto rivisita gli anni della giovinezza a Fès, rivive i suoi tre matrimoni, riceve al capezzale il padre morto di Tahar; fa morire e resuscita i propri figli. Nella sua testa tutto si mescola. A nulla servono le medicine, né le premure delle due domestiche, che la sua mente trasforma in potenziali nemiche. Tahar assiste impotente a questa bufera di allucinazioni e ricordi, al tentativo di cercare un ordine che ormai sfugge, di rivendicare una lucidità perduta. E in silenzio raccoglie le memorie stralunate della madre per ricomporle in un racconto intimo e tenero, forse un modo per dire ancora, e sempre, il proprio amore di figlio.
“Il matrimonio di piacere” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

Nell’Islam, a un uomo in viaggio per lunghi periodi è permesso contrarre un matrimonio di durata definita, per evitare la tentazione di frequentare prostitute. Si chiama “matrimonio di piacere”. È a queste condizioni che Amir, un ricco commerciante di Fès sposa temporaneamente Nabou, una ragazza di etnia fulana di Dakar, città in cui si ferma ogni anno per procurarsi la merce. Ecco però che Amir si scopre innamorato di Nabou e le propone di andare a Fès con lui. La donna accetta, diventa la sua seconda moglie e gli dà presto due gemelli. Uno bianco, l’altro nero. Da quel momento deve affrontare la gelosia terribile della prima moglie di Amir, bianca, e il razzismo quotidiano dei suoi concittadini. Un romanzo sull’amore e le sue conseguenze, una storia che arriva dritta ai nostri sentimenti più intimi, a quelli che non sappiamo confessare.
“La specchio delle falene” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

A Tangeri, per vent’anni, cinque uomini si ritrovano ogni mattina al caffè per parlare dei loro problemi e commentare quello che accade nel mondo. In passato hanno amato tutti la stessa donna, Zina, una delle ragazze più belle della città. E tutti l’hanno ferita, forse senza saperlo. Concepita in una notte segnata dalla maledizione, colpita dal destino e condannata per sempre, Zina è stata una bambina, e poi una donna, sempre in disparte perché accusata di portare sventura. Per difendersi, Zina ha fatto della crudeltà il suo modo di essere nel mondo, vendicandosi degli uomini affascinati dal suo aspetto. Così quando Zina ricompare nella vita dei suoi amanti è sempre bella, ma è tornata per sedurre e per distruggere.
“Lo scrivano” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

Un bambino fragile, che sogna la vita e guarda con occhi colmi di meraviglia il mondo intorno a sé, cresce con il dono della fantasia, sensibile ai sentimenti e alle emozioni. Con la stessa intensità, sente i luoghi che attraversa: Fès, la sua città natale, la bianca Tétouan chiusa fra le montagne; Tangeri e Casablanca, le città della vita adulta, porte socchiuse verso l’Europa, e infine Parigi, dove arriverà da studente, innamorato timido alle prese con donne sfuggenti, per iniziare una nuova vita. Il romanzo più autobiografico di Tahar Ben Jelloun, la storia di una vita si accende tra immagini perdute e il sogno di una vita da scrittore.
“Il terrorismo spiegato ai nostri figli” di Tahar Ben Jelloun (Marocco)

Gli attacchi terroristici che negli ultimi anni hanno portato la paura in Occidente (e non solo) ci obbligano a convivere con una violenza spesso difficile da comprendere. Le televisioni e i giornali ci inondano di immagini traumatiche, la morte è diventata una notizia quotidiana, distribuita alla cieca tra gente comune: allo stadio, nei teatri, al bar, in aeroporto. Un’intera generazione sta crescendo con il timore di non essere al sicuro, e con molte domande che non trovano risposta. Come aiutare i nostri figli a liberarsi dalla paura? Come spiegare loro le ragioni di quello che sta accadendo, tra religione, storia, interessi economici e politici? Quasi vent’anni dopo lo straordinario successo mondiale di Il razzismo spiegato a mia figlia, Tahar Ben Jelloun torna al cuore dell’attualità e, riflettendo sulla natura del terrorismo, ci regala un libro illuminante sull’importanza delle parole, sulla responsabilità di educare, sul rapporto non negoziabile con la verità.
“Sotto il suo passo nascono i fiori” di Francesca Bocca-Aldaqre e Pietrangelo Buttafuoco (Italia)

Quando, in punto di morte, Goethe mosse il suo indice dal basso verso l’alto, i testimoni che gli erano vicini rimasero sorpresi: per secoli questo gesto è rimasto emblematico e inspiegabile. Oggi, grazie alla suggestiva ricostruzione di Pietrangelo Buttafuoco e di Francesca Bocca-Aldaqre, possiamo coglierne il senso: si tratta di un gesto simbolico della shaha¯da, la testimonianza di fede che ogni musulmano deve compiere in punto di morte per riaffermare di credere nel Dio unico. Attraverso una lunga e approfondita ricerca negli archivi e negli epistolari di Goethe, seguendo le testimonianze di coloro che gli furono più vicini, gli autori raccontano la scoperta e l’avvicinamento del grande scrittore tedesco all’Islam, rintracciandone l’influenza nell’opera poetica, teatrale e saggistica. Un’influenza vissuta però in modo estremamente peculiare e del tutto attuale, e che testimonia della capacità di Goethe di fondere nella sua riflessione elementi filosofici e religiosi appartenenti alla tradizione occidentale come a quella araba e medio-orientale, dando così forma a un pensiero coerente e vitale. Sotto il suo passo nascono i fiori offre al lettore non soltanto una ricostruzione della vita di Goethe – dalla sua prima lettura del Corano nel 1770 alla morte nel 1832 – e uno studio delle sue opere maggiormente ispirate dalla religione musulmana, ma anche l’occasione di riflettere sulla suggestione di un futuro europeo legato a “un Islam mitigato dai cieli del Mediterraneo”, un orizzonte di pace verso il quale, secondo gli autori, il poeta orientò le sue più profonde tensioni personali e intellettuali.
“Mia sorella è una serial killer” di Oyinkan Braithwaite (Nigeria)

Quando una sera Korede riceve una telefonata della sorella sa già, purtroppo, cosa Ayoola si aspetta da lei: candeggina, guanti di gomma, nervi d’acciaio e stomaco forte. Questo è il terzo fidanzato che Ayoola uccide per autodifesa – dice lei – e la terza scena del crimine che le chiede di pulire. Korede dovrebbe andare dalla polizia ma vuole troppo bene alla sorellina, e la famiglia viene prima di tutto. Almeno finché Ayoola, la figlia prediletta e bellissima di cui tutti si innamorano, non inizia a frequentare il dottore con il quale Korede lavora e di cui è innamorata. Costretta a scegliere tra la complicità e l’amore, Korede dovrà ora decidere fino a che punto è disposta a spingersi per proteggere sua sorella. Affilato, ironico, sfrontato, questo romanzo d’esordio acclamato dalla critica lancia Oyinkan Braithwaite come una delle voci più promettenti della letteratura nigeriana.
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“L’Alchimista” di Paulo Coelho (Brasile)

Impara ad ascoltare il tuo cuore: è l’insegnamento che scaturisce da questa favola spirituale e magica. Alle frontiere tra il racconto da mille e una notte e l’apologo sapienziale, L’Alchimista è la storia di una iniziazione. Ne è protagonista Santiago, un giovane pastorello andaluso il quale, alla ricerca di un tesoro sognato, intraprende quel viaggio avventuroso, insieme reale e simbolico, che al di là dello Stretto di Gibilterra e attraverso tutto il deserto nordafricano lo porterà fino all’Egitto delle Piramidi. E sarà proprio durante il viaggio che il giovane, grazie all’incontro con il vecchio Alchimista, salirà tutti i gradini della scala sapienziale: nella sua progressione sulla sabbia del deserto e, insieme, nella conoscenza di sé, scoprirà l’Anima del Mondo, l’Amore e il Linguaggio Universale, imparerà a parlare al sole e al vento e infine compirà la sua Leggenda Personale. Il miraggio, qui, non è più solo la mitica Pietra Filosofale dell’Alchimia, ma il raggiungimento di una concordanza totale con il mondo, grazie alla comprensione di quei “segni”, di quei segreti che è possibile captare solo riscoprendo un Linguaggio Universale fatto di coraggio, di fiducia e di saggezza che da tempo gli uomini hanno dimenticato.
“Manuale del guerriero della luce” di Paulo Coelho (Brasile)

Se accade che il clamore del mondo soffochi la nostra voce interiore, vuol dire che è giunto il momento della lotta: dobbiamo risvegliare il guerriero della luce che dorme in ciascuno di noi e intraprendere un cammino disseminato di lusinghe e tentazioni, un sentiero in cui ogni passo può nascondere le insidie di un intero labirinto, un percorso dove la vittoria ha il medesimo volto della sconfitta. Ma chi può soccorrerci nei momenti di difficoltà? Quali parole dobbiamo ascoltare tra le miriadi che ci rimbombano nelle orecchie? Possiamo davvero condividere con gli altri i sogni e i rimpianti? Da Paulo Coelho, maestro di vita e di speranza, ecco la mappa per raggiungere un’isola dove il tesoro è la nostra felicità.
“Lettere d’amore del profeta” di Paulo Coelho (Brasile)

“Chi è Gibran?” mi domandavo. E archiviando brani delle sue lettere nel mio computer, penso di averlo scoperto. Gibran non era né un rivoluzionario né un saggio. Era un uomo, come tutti noi, e racchiudeva nella propria anima gli stessi dolori e le stesse gioie che proviamo noi. Eppure, attraverso i suoi libri è riuscito a rendere manifesta la grandezza di Dio.
“Il manoscritto ritrovato ad Accra” di Paulo Coelho (Brasile)

14 luglio 1099. Mentre Gerusalemme si prepara all’invasione dei crociati, un uomo greco, conosciuto come il Copto, raccoglie tutti gli abitanti della città, giovani e vecchi, donne e bambini, nella piazza dove Pilato aveva consegnato Gesù alla sua fine. La folla è formata da cristiani, ebrei e musulmani, e tutti si radunano in attesa di un discorso che li prepari per la battaglia imminente, ma non è di questo che parla loro il Copto: il vecchio saggio, infatti, li invita a rivolgere la loro attenzione agli insegnamenti che provengono dalla vita di tutti i giorni, dalle sfide e dalle difficoltà che si devono affrontare. Secondo il Copto, la vera saggezza viene dall’amore, dalle perdite sofferte, dai momenti di crisi come da quelli di gloria, e dalla coesistenza quotidiana con l’ineluttabilità della morte. Il manoscritto ritrovato ad Accra è un invito a riflettere sui nostri princìpi e sulla nostra umanità; è un inno alla vita, al cogliere l’attimo presente contro la morte dell’anima.
“Monte cinque” di Paulo Coelho (Brasile)

Per gli abitanti di Akbar, nell’antico Libano, il Monte Cinque è un luogo inaccessibile, abitato dagli dèi che governano i loro destini. Quando, per sfuggire alla persecuzione della regina Gezabele, il profeta Elia è costretto a lasciare Israele, un angelo gli svela che la strada della sua salvezza – l’arduo cammino verso la realizzazione e la santità – conduce proprio nella città fenicia. In questo mondo straniero, turbato da superstizioni, conflitti religiosi e tradizioni immutabili, il profeta viene accolto da una donna caritatevole, ma deve affrontare i pregiudizi della comunità. Mentre l’esercito assiro preme sotto le spesse mura di pietra di Akbar, il Signore ha ordinato tremende prove per Elia, che dovrà affrontare il Monte Cinque e i suoi demoni. Si può davvero accettare la morte dell’amata in nome della fede? Quale prezzo si deve pagare perché trionfino la giustizia e la verità? Un romanzo sull’amore e la fiducia, che esplora fino a che punto possiamo guidare il nostro destino,quando l’inevitabile arriva nelle nostre vite.
“Aleph” di Paulo Coelho (Brasile)

Nel suo romanzo più personale, Paulo Coelho torna con un viaggio alla scoperta di sé. Come Santiago, il pastore dell’Alchimista, anche Paulo sta affrontando una profonda crisi di fede ed è alla ricerca di un cammino che l’aiuti nella sua rinascita spirituale. L’unica vera possibilità è di ricominciare tutto da capo. Così intraprende un viaggio che lo condurrà attraverso l’Africa, l’Europa e l’Asia lungo il percorso della Transiberiana, un viaggio che gli riporterà energia e passione. Quello che Paulo non sa è che incontrerà Hilal, una giovane violinista piena di talento, che ha amato cinquecento anni prima, ma che ha tradito con un gesto di codardia talmente estremo da impedirgli di raggiungere la felicità in questa vita. Insieme inizieranno un viaggio mistico nel tempo e nello spazio che li porterà più vicino all’amore, al perdono e al coraggio di superare tutti gli ostacoli che la vita, inevitabilmente, ci presenta. Aleph ci invita a riflettere sul significato del nostro viaggio personale. Siamo davvero quello che vogliamo essere, facciamo davvero quello che vogliamo fare? Molti libri si leggono. Aleph si vive. Aleph è un romanzo che parla di come affrontare le proprie paure, credere nel proprio istinto e aprire la mente alle infinite strade che collegano tutti noi mentre affrontiamo insieme il viaggio della vita, pur seguendo percorsi diversi.
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“Zabor” di Kamel Daoud (Algeria)

Zabor non assomiglia affatto agli altri bambini della sua età: orfano della madre, trattato dalla nuova famiglia del padre come un ospite indesiderato, cresce solitario e malinconico nel suo villaggio alle porte del deserto, allevato dalla zia e dal nonno. Girovaga per le strade durante la notte e dorme di giorno, trovando compagnia e conforto solo nei libri presi da una biblioteca polverosa: quei romanzi gli sembrano l’unica cosa importante della sua esistenza, l’unica che possa darvi un senso. È proprio grazie ai libri che Zabor scopre di avere un dono straordinario: se scrive, è capace di respingere la morte, e coloro di cui racconta nel suo quaderno guadagnano per miracolo nuovi anni di vita. Quando uno dei suoi odiosi fratellastri bussa alla sua porta, Zabor dovrà prendere la più difficile delle decisioni: il padre sta morendo e solo Zabor può provare a rinviare la fine. Ma vuole davvero salvare un uomo da cui non ha mai ricevuto amore? Fiaba, racconto, confessione vertiginosa: il secondo romanzo di Kamel Daoud celebra la forza e l’urgenza della scrittura, facendone un atto sacro anche quando è soltanto umano. Come una nuova Sherazad, Zabor sfugge al vuoto salvando se stesso e gli altri attraverso il potere supremo della parola e la verità rivoluzionaria della fantasia.
“Le mie indipendenze” di Kamel Daoud

Kamel Daoud è considerato una delle voci più importanti e indipendenti della cultura europea e mediorientale. Da quindici anni scrive per “Le Quotidien d’Oran”, tra i maggiori quotidiani algerini, collaborando inoltre con diversi media e giornali stranieri. Dal 2010 al 2016 ha firmato circa duemila pezzi – all’inizio destinati al pubblico del suo paese, poi, vista la sua crescente popolarità, letti nel mondo intero – e più di quattrocento sono confluiti in questa raccolta, in cui il ritmo e il respiro della sua scrittura costruiscono un’estetica d’insieme coerente e compatta. Sia che affronti le questioni politiche dell’Islam, la radicalizzazione religiosa – denunce che gli sono costate una fatwa e l’esilio dal paese – o le delinquenze del regime algerino, sia che abbracci la speranza suscitata dalle primavere arabe, o che difenda i diritti delle donne, la sua è una penna originale, visionaria, impegnata e penetrante. Daoud è riuscito nell’impresa di fare della cronaca un vero e proprio genere letterario, offrendo ai suoi contemporanei uno specchio per interrogarsi, giorno dopo giorno – grazie o malgrado l’attualità – sugli uomini, sulla religione, sulla libertà.
“Il giorno che vennero a prenderci” di Janine Di Giovanni (Usa)

Dalle ceneri della Primavera araba, si è acceso in Siria, dal 2011 a oggi, uno dei conflitti civili più lunghi e violenti della storia recente. Janine di Giovanni – pluripremiata reporter americana che ha vissuto, dalla guerra nei Balcani, tutti i fronti più caldi degli ultimi decenni – ha seguito sin dal principio le ostilità che hanno lacerato la Siria. Erede dei più grandi reporter di guerra – Gourevitch, Applebaum, Kapuściński – Janine di Giovanni racconta dall’interno un paese sull’orlo della disintegrazione, abbracciando il punto di vista delle vittime più fragili e sole: le persone normali, le madri, i figli, gli anziani, coloro che hanno perso tutto, i giovani soldati mandati a combattere. Questi indimenticabili ritratti dal fronte, scritti con passione, empatia e tenerezza, testimoniano le conseguenze di una guerra civile che ha visto un popolo armarsi e combattere contro se stesso, arrivando a distruggere uno dei paesi più sviluppati del Medio Oriente e sollevando questioni che riguardano noi tutti – i milioni di profughi e rifugiati, la nascita e diffusione dell’ISIS, le costanti tensioni fra le potenze internazionali. Il giorno che vennero a prenderci è lo straordinario racconto di un’umanità che sopravvive all’orrore e dell’incredibile capacità di resistenza della vita, contro tutte le forze che spingono al suo annientamento.
“Tre volte a Gerusalemme” di Fernando Gentilini (Italia)

Gerusalemme è una città emblematica: simbolo non solo di un conflitto che ritorna nel tempo, ma anche di un incontro unico tra culture, religioni, idee e stili di vita. L’Oriente si mescola all’Occidente, il sacro al profano, l’antico alla post-modernità. Terra di scontro, divisa in due dalla Linea Verde ma sempre capace di emozionare, Gerusalemme emerge da queste pagine come un luogo di una bellezza quasi scandalosa, spietato e contraddittorio, dove israeliani, palestinesi, ebrei ortodossi, monaci cristiani, soldati, donne e uomini provenienti da ogni parte del mondo, uniti idealmente da un rapporto speciale con la città, vi convivono fianco a fianco senza mai integrarsi davvero gli uni con gli altri. Fernando Gentilini sceglie di raccontare i suoi anni a Gerusalemme facendo parlare tre voci: quella dei luoghi, quella della politica mediorientale e quella dei libri degli altri. Il risultato è un diario atipico dove le tante identità diverse sembrano sfumare e mescolarsi tra loro, in un andirivieni tra passato e presente, tra realtà e finzione letteraria, tra grandi speranze e indicibili sofferenze.
K
“La città di pietra” di Ismail Kadare (Albania)

Una città costruita totalmente in pietra, scoscesa e antica, arroccata sulla montagna. Una città strana, difficile da descrivere perché non somiglia a nulla. Un luogo in cui non è facile essere bambini ma, sotto le fredde pietre, la vita scorre tra antiche abitudini, misticismo e folklore. La Storia porta con sé le sue tragedie, il secondo conflitto mondiale, da cui il bambino protagonista riesce a difendersi come solo i bambini sanno fare. Affronta le fughe, i bombardamenti, la morte, i soldati che parlano lingue straniere e si contendono la città come fossero gioco e scoperta. Accompagnato da un’umanità varia e sorprendente, affronterà la vita e le stagioni fino a diventare uomo. Ismail Kadare ci regala un romanzo in cui il mondo e la guerra sono visti con gli occhi e la fantasia di un bambino ma anche con l’acutezza e la forza della scrittura del più grande scrittore albanese contemporaneo.
“Le mattine al Café Rostand” di Ismail Kadare (Albania)

Il Café Rostand è un luogo mitico della Parigi letteraria e per Ismail Kadare un luogo del cuore in quella che è diventata la sua città. Un legame che dura da oltre quattro decenni, da quando, nei primi anni settanta, miracolosamente gli venne permesso dal regime albanese di visitare la capitale francese. Il Café Rostand diventa un riferimento, una tappa obbligata ogni mattina per leggere e scrivere, rifugio e fonte d’ispirazione, routine che gli permette di evocare Tirana e Mosca, l’Accademia di Francia e il Macbeth, il premio Nobel ma anche gli amici e i compagni che subirono, come lui, il bavaglio della dittatura in Albania, e le figure letterarie che Parigi, con la sua storia e il suo fascino, gli ricorda. In questi racconti, Ismail Kadare, riesce a trasmettere il fermento e la passione di una vita votata alla scrittura e all’arte.
“Aprile spezzato” di Ismail Kadare (Albania)

Gjorg vive nel nord dell’Albania, tra montagne e villaggi fermi nel tempo. Quando il fratello viene ucciso da un vicino di casa, la vita del giovane muta radicalmente: secondo l’antico codice del Kanun, Gjorg dovrà uccidere il colpevole dell’omicidio di suo fratello e accettare di essere poi, di lì a un mese, assassinato a sua volta da chi vorrà vendicarsi di lui. I trenta giorni che Gjorg ha davanti, fino alla metà di aprile, potrebbero essere gli ultimi della sua vita, così decide di fuggire per cercare di viverli il più pienamente possibile. Nel frattempo una giovane coppia è partita da Tirana in viaggio di nozze: Besun e Diana vogliono raggiungere gli altopiani settentrionali per studiare le tradizioni e le leggi rimaste intatte dal Medioevo, a dispetto della modernizzazione. Lungo il loro percorso incrociano il cammino del fuggitivo; la sposa, al primo sguardo, si innamora di Gjorg, mutando per sempre il destino dei tre protagonisti. Tradotto per la prima volta dall’albanese, torna in libreria uno dei romanzi simbolo di Ismail Kadare: un classico senza tempo della letteratura europea.
“La provocazione” di Ismail Kadare (Albania)

Due postazioni. Una linea di confine. Una guerra. Un inverno gelido. La neve, caduta in abbondanza, taglia i collegamenti. Sui due fronti i soldati sono costretti a vigilare gli uni gli altri. Non solo. I due fronti sono costretti a dialogare, a varcare uno il confine dell’altro. Ma forse non è una necessità, forse è un inganno. Forse è una provocazione. Un caporale – al comando a causa della assenza dei superiori, quando il bianco della neve sfuma i confini tra le cose – si trova di fronte a scelte che decideranno il suo destino e quello dei suoi compagni. Un racconto fulminante sulla guerra, la nostalgia, il desiderio, la potenza silenziosa della natura.
“La Bambola” di Ismail Kadare (Albania)

La Bambola, piccola e fragile come cartapesta, è la madre di Ismail Kadare, cui questo romanzo è dedicato. Kadare fa ritorno da lei a Gjirokastër, la sua città natale in Albania, ripercorrendo la sua stessa storia, la sua educazione e le ragioni del distacco voluto da un Paese e da una famiglia forti e segnanti. Una madre sensibile, insicura e indebolita dal confronto austero con le tradizioni balcaniche che la suocera incarna; un figlio emancipato, libero e indipendente, da cui teme un abbandono radicale e irrazionale per dedicarsi al suo percorso intellettuale, alla fama come scrittore e a un amore ribelle fuori dal matrimonio. Ismail Kadare, il più grande scrittore albanese contemporaneo, ci consegna un romanzo potente e delicatissimo come solo il rapporto con una madre può essere, riuscendo a esprimere, nella cura estrema delle parole e dello sguardo, l’indicibile che governa la tensione più profonda, quella verso il nostro stesso sangue e la nostra terra.
M
“Gli scali del Levante” di Amin Maalouf (Libano)

“Quell’epoca in cui uomini di tutte le origini vivevano gli uni accanto agli altri negli Scali del Levante, e mescolavano le loro lingue, è una reminiscenza remota? O è una prefigurazione dell’avvenire?” Arrivato a Parigi per un incontro atteso da troppo tempo, il vecchio Ossyan guarda alla sua vita e, come in una moderna Mille e una notte, affida a un misterioso ascoltatore il racconto delle sue avventure. Cresciuto a Beirut, ultimo discendente di una nobile famiglia ottomana, viene educato in uno spirito liberale e insofferente verso i pregiudizi razziali. Ossyan si trasferisce per gli studi in Francia dove, durante la lotta eroica per liberare il paese dai nazisti, conosce Clara, un’ebrea di cui si innamora perdutamente. Insieme a lei decide di vivere la sua personale rivoluzione: lui, un musulmano, sposa una ragazza ebrea proprio quando il mondo intero sembra rassegnato a vedere la violenza dividere per sempre le due culture. I casi della vita e il corso della storia metteranno a dura prova la loro scelta: privati di un futuro insieme, delle gioie più semplici, cosa rimane loro? Un amore in sospeso, un amore quieto ma, forse, più potente della storia.
“Le crociate viste dagli arabi” di Amin Maalouf (Libano)

Luglio 1096: fa molto caldo sotto le mura di Nicea. All’ombra dei fichi, nei giardini fioriti, circolano notizie inquietanti: una truppa formata da cavalieri, fanti, ma anche donne e bambini, marcia su Costantinopoli. Si dice che portino, cucite sulla spalla, delle croci in tessuto e che vengano a sterminare i musulmani fin dentro Gerusalemme. Resteranno due secoli in Terra Santa, saccheggiando e massacrando in nome del loro dio. Un’incursione barbara compiuta dall’Occidente contro il cuore del mondo musulmano segna l’inizio di un lungo periodo di decadenza e oscurantismo, e l’eco della violenza di quell’attacco si fa sentire ancora oggi. Nell’intento di raccontare le crociate da un punto di vista inedito e completo, Maalouf ha fatto ricorso agli scritti degli storici arabi, molti dei quali sconosciuti in Europa, gettando al di là della barricata uno sguardo che ci riserva non poche sorprese: un affresco a colori violenti, ma anche un monito inquietante per i nostri tempi. Torna in libreria, arricchito da una nuova introduzione dell’autore, il primo saggio scritto da Amin Maalouf, pubblicato nel 1983 e da allora divenuto riferimento critico essenziale per la comprensione del rapporto e delle tensioni più profonde fra il mondo arabo e quello occidentale.
“Il naufragio delle civiltà” di Amin Maalouf (Libano)

Amin Maalouf ha il potere di proporre intuizioni esatte quanto predizioni, indovinando i grandi cambiamenti della storia e della società molto prima che affiorino alla coscienza comune. In questo libro, con la lucidità cui ci ha da tempo abituati, spiega perché si sia arrivati alle soglie di un naufragio globale, che riguarda tutte le civiltà. L’America, per quanto resti una superpotenza, è sul punto di perdere ogni credibilità morale. L’Europa, che aveva promesso al suo popolo e a tutto il mondo il progetto più ambizioso e rassicurante della nostra epoca, sta per smembrarsi. Il mondo arabo-musulmano versa in una crisi profonda che lascia la sua popolazione nella disperazione e con ripercussioni spaventose ovunque. Grandi nazioni emergenti o in via di rinascita, come la Cina, l’India e la Russia, fanno irruzione sulla scena mondiale in un’atmosfera deleteria in cui vige la legge del più forte. Una nuova corsa agli armamenti sembra inevitabile, senza contare le minacce, gravissime, che pesano sul nostro pianeta – il clima, l’ambiente, la salute – e alle quali non potremo far fronte senza quella solidarietà globale che, appunto, ci manca. Da tanti anni, Amin Maalouf osserva e percorre il mondo, da Beirut a Teheran, dal Vietnam a Parigi. In questo libro, mescolando cronaca e riflessione, il grande romanziere e saggista racconta gli avvenimenti di cui si è trovato ad essere testimone privilegiato e, al tempo stesso, porta avanti una riflessione acutissima sulla storia e il destino dell’umanità.
“Origini” di Amin Maalouf (Libano)

Dopo la scomparsa del padre in Libano, Amin Maalouf riceve a Parigi una cassa colma di documenti di famiglia che risalgono ai bisnonni paterni. Un’occasione per tornare con la memoria alla complessa storia delle generazioni che lo hanno preceduto. Tra contadini radicati nella sapienza originaria della terra, predicatori fondamentalisti, patrioti in lotta contro l’impero ottomano, uomini e donne impegnati a sopravvivere ma anche a realizzare i loro desideri di emancipazione dai pregiudizi di una cultura rigidamente tradizionale, si compone una grandiosa saga familiare. Una storia attraverso cui raccontare il conflitto di religioni, il confronto fra Oriente e Occidente, il dramma del fondamentalismo. “Mi riconosco facilmente nell’avventura della mia vasta famiglia, sotto tutti i cieli. Nell’avventura e anche nelle leggende.”
“Gli angeli dei libri di Daraya” di Delphine Minoui (Francia)

In Siria, alle porte di Damasco, la città ribelle di Daraya è alle corde per l’assedio implacabile dell’esercito di Assad. Un inferno che dura da quattro lunghissimi anni, scanditi dai bombardamenti con i barili esplosivi, gli attacchi con il gas, la morsa della fame che stringe gli abitanti isolati. Per reagire alla violenza del regime, alla mortificazione emotiva, al senso di sconfitta e terrore che pervade la popolazione, quaranta giovani volontari decidono di dedicarsi a cercare e mettere al sicuro migliaia di libri finiti sotto le macerie delle case e delle scuole. Li puliscono, li dividono e li classificano per raccoglierli nei sotterranei di un palazzo sventrato dalle bombe: è così che, nel cuore più buio della guerra siriana, sboccia una biblioteca segreta, una “fortezza di carta”. Oltre 10.000 volumi di narrativa araba e straniera, filosofia, teologia, scienze, ogni giorno a disposizione della popolazione, gratuitamente. In condizioni precarie, quasi senza elettricità, telefoni e connessione internet, i libri divengono per gli abitanti di Daraya l’unico mezzo di evasione e speranza, un tesoro clandestino da difendere attraverso una resistenza coraggiosa e vitale. La storia degli angeli dei libri di Daraya e della biblioteca dove ogni cosa può guarire e pensarsi possibile è un inno alla libertà e alla tolleranza, il simbolo inestimabile di una forza che alla sopraffazione violenta della guerra sceglie di opporre la bellezza della letteratura, della vita.
O
“La libertà” di Ben Okri (Nigeria)

In un mondo di fantasia molto simile al nostro, una giovane donna di nome Amalantis viene arrestata per aver posto una semplice domanda: “Chi è il prigioniero?”. Quando Amalantis scompare all’improvviso, Karnak, il suo fidanzato, comincia a cercarla ovunque. È un tentativo disperato e affannato, che sfocia in una consapevolezza crescente: per ritrovarla, deve prima comprendere il senso della sua domanda. La ricerca lo conduce così nei meandri di un mondo spaventoso, dove regnano menzogne, soprusi e paura, e al cui centro si staglia la Prigione. Qui, Karnak scoprirà di non essere il solo a battersi per la verità. La libertà è un romanzo intenso e coraggioso sul senso della giustizia e una critica tagliente alla società della post-verità, per aiutarci a vedere le minacce cui espone i nostri ideali, la nostra libertà.
“La timidezza delle rose” di Serdar Özkan (Turchia)

Diana è una bella ragazza poco più che ventenne. Tutto per lei sembra scorrere normalmente – amici, amori, studio – fino a quando una lettera sconvolge ogni cosa. La madre, infatti, prima di morire le ha scritto, rivelandole l’esistenza di una sorella gemella, Mary, che il padre, lasciandola, aveva portato via con sé. Inizialmente Diana non ha voglia di mettersi alla sua ricerca, presa com’è dalla sua vita. Succedono però alcune cose che le fanno cambiare idea: le parole di un misterioso cartomante che la fanno riflettere sul suo destino (Diana sogna da tempo di diventare scrittrice, ma è avviata a diventare un brillante avvocato) e il ritrovamento delle lettere inviate da Mary alla madre, lettere che parlano di un «giardino delle rose» a Istanbul e di una certa Zeynep Hanim, che le avrebbe insegnato a capire il linguaggio di questi meravigliosi fiori. La ricerca di Mary si rivelerà per Diana qualcosa di molto più profondo: un viaggio alla scoperta di sé e dei sogni accantonati, credendo nella possibilità che tutto possa accadere, persino udire la voce delle rose.
R
“Alla luce di quello che sappiamo” di Zia Haider Rahman (Bangladesh)

Una mattina di settembre, un consulente finanziario con una carriera in disfacimento e un matrimonio in caduta libera riceve una visita a sorpresa nella sua casa di Londra. Si sforza di mettere a fuoco la figura trasandata con uno zaino sulle spalle che gli sta di fronte, fino a che non riconosce in lui l’amico di gioventù, Zafar, un brillante matematico scomparso anni prima in circostanze misteriose. Ora è tornato con una confessione scomoda che affida al compagno ritrovato. Nella quiete di quella casa londinese, i due amici, ricostruendo il loro passato, iniziano a parlare di qualcosa che riguarda tutti noi: l’amore e la guerra, l’orgoglio e la lotta. Pubblicato in 14 paesi, Alla luce di quello che sappiamo è lo straordinario esordio di Zia Haider Rahman. Un romanzo che travolge con intelligenza e coraggio le nostre certezze più profonde.
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“Prigioniere” di Amina Sboui (Tunisia)

La più controversa attivista per i diritti umani del mondo arabo racconta le storie terribili ed esemplari delle sue compagne di carcere, per denunciare la condizione femminile nell’Islam. Il libro si apre con un prologo in cui Amina si trova in carcere in attesa di processo per aver postato una sua foto a seno nudo. La prima notte conosce una ragazza, Bessma, che ha assassinato il fratello. Bessma significa sorriso, ma la ragazza non ha sorrisi sulle su labbra e Amina si chiede cosa può spingere una donna ad ammazzare un fratello, un uomo del suo stesso sangue. La risposta che le dà Bessna è sconvolgente: per essere libera di amare. Profondamente turbata, Amina decide di raccontare le vicende delle altre detenute e delle loro storie. Conosciamo Iman, raggirata da un uomo che prima la seduce e poi l’abbandona, Hana, Nahed, Zohra, Monia, in carcere per avere ucciso i suoi due figli. Mandata in sposa dalla famiglia a un cugino violento che le rende la vita un inferno fin dalla notte di nozze, mette al mondo due bambini che per via del matrimonio tra consanguinei hanno entrambi gravi disturbi mentali. Per salvarli dalla violenza del marito, Monia decide di uccidersi insieme a loro con un potente sonnifero, ma sopravvive. Sono storie vere, raccolte e raccontate in prima persona da una ragazza che ha fatto della lotta e dell’emancipazione femminile la sua principale ragione di vita. È un viaggio terribile, ma anche commovente e illuminante all’interno delle carceri tunisine e in fondo all’anima di queste donne maltratatte, abusate, sottomesse nell’Islam più fanatico e arretrato, nel quale la condizione femminile è rimasta come congelata nel Medioevo.
“Il paese degli altri” di Leila Slimani (Algeria)

Nel 1944, durante la guerra, Mathilde, una giovane alsaziana, s’innamora di Amin, un soldato marocchino che combatte nell’esercito francese contro l’occupazione nazista. Lui è affascinato dalla vitalità e dalla libertà di Mathilde; lei è sedotta dalla bellezza e dalla sensibilità dell’uomo. Al termine della guerra decidono di sposarsi e di trasferirsi nei dintorni di Meknes, in Marocco, dove Amin aveva ereditato un terreno che sognava di trasformare in una fattoria moderna. Ma l’impatto con la nuova realtà è traumatico per entrambi. Mathilde deve imparare a vivere in un mondo fatto di regole che non comprende e non condivide, mentre Amin scopre a sue spese che non è facile essere un proprietario terriero né un marito moderno e liberale in un paese come il suo. Nonostante le difficoltà e i contrasti, il loro amore e la dedizione ai figli, Aisha e Selim, prevalgono anche quando, con l’esplodere della lotta per l’indipendenza del Marocco, la Storia torna a bussare alla loro porta. Leila Slimani ci regala un romanzo dall’intreccio magistrale, illuminato dalla forza e dalla profondità delle sue protagoniste femminili. Perché tutti, in questa storia, vivono nel “paese degli altri”. Ci vivono i coloni francesi ospiti indesiderati dei marocchini che, a loro volta, sopportano a fatica il giogo degli europei. Ci vivono i soldati, costretti ad operare in un territorio ostile, così come i contadini che lavorano una terra che non appartiene a loro. Ma sono soprattutto le donne, costrette a vivere nel paese degli uomini, a dover lottare per la loro emancipazione.
“Sul far del giorno” di Wole Soyinka (Nigeria)

Nel linguaggio lirico e politico, profondamente umano, che gli è proprio, mescolando immagini della millenaria tradizione yoruba e della cultura classica occidentale, il premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka cattura lo spirito creativo travolgente della sua terra natìa e della sua gente. Ne racconta la storia dai tempi coloniali a quelli dell’indipendenza, la guerra civile del Biafra che gli costò la prigione, le successive dittature, fino a quella del generale Sani Abacha che lo costrinse all’esilio con una taglia internazionale sulla testa. Il racconto si apre col ritorno dell’autore nell’amata città natale, Abeokuta, in seguito alla morte del sanguinario dittatore. Andando avanti e indietro nel tempo, Soyinka ricorda gli amici scomparsi, gli anni da studente in Inghilterra, la fascinazione del bambino nei confronti della strada, i viaggi continui e le fughe dal paese, lo studio delle maschere e dei riti tradizionali, le scorribande con gli amici al ritmo highlife della metropoli, le battute di caccia nella quiete del bosco, il rapporto col suo demiurgo personale Ogun, le passeggiate a Venezia con W. H. Auden e Stephen Spender, la cerimonia del Nobel, l’incontro con Nelson Mandela a Parigi, gli anni americani, l’esilio. Una vita vissuta sotto l’insegna di un unico, potentissimo ideale: la giustizia come chiave essenziale della condizione umana.
“Rom genti libere” di Santino Spinelli (Italia)

Da sempre oggetto di sospetti e vessazioni, di persecuzioni e genocidi (si pensi ai 500mila Rom e Sinti massacrati dai nazisti), il popolo Rom è una delle più antiche minoranze del Vecchio continente, tra le più dinamiche e radicate. Eppure di loro non sappiamo nulla, a partire dal fatto che usiamo Rom come sinonimo di zingari, mentre invece si tratta di uno dei cinque gruppi etnici (oltre a Sinti, Kale, Manouches e Romanichals) che costituiscono la popolazione romanì. Per la prima volta, uno studioso Rom italiano ci offre una storia complessiva di questo popolo, dalle migrazioni originarie alla situazione contemporanea, abbracciandone la cultura e i valori sociali, le espressioni artistiche, fino alle organizzazioni politiche.
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“Partire” di Mahmoud Traoré (Senegal)

La storia di Mahmoud Traoré è quella di migliaia di giovani africani che, attratti dal mondo globalizzato, si lanciano sulle strade dell’esilio a piedi o a bordo di taxi-collettivi, camion da bestiame, piroghe, lasciandosi alle spalle il Sahel, il Sahara, la Libia e il Maghreb. Mahmoud ha impiegato tre anni e mezzo per percorrere la distanza che separa Dakar da Siviglia, mentre a un turista europeo sarebbero bastate poco più di tre ore di volo. E a Ceuta lo attende l’assalto alle «barriere di sicurezza»: nella notte fra il 28 e il 29 settembre 2005 centinaia di migranti irregolari si gettano sulle recinzioni e i fili spinati che li separano dall’Europa. La polizia apre il fuoco e lascia a terra molti morti, che sono morti senza volto, senza nome, senza identità. Ci sono sopravvissuti che provano a raccontare, ma ne escono solo frammenti di verità al servizio dei media. E così la loro testimonianza, velocemente, si affievolisce. In cammino verso l’eldorado europeo dopo aver abbandonato l’idea di raggiungere la Costa d’Avorio, devastata all’epoca da una guerra civile, Mahmoud si imbatte in ogni sorta di sfruttatori: doganieri, guide, cacciatori di clienti, affittacamere, poliziotti corrotti, trasportatori, e, seguendo il ritmo intermittente del suo periplo – a ogni tappa, Mahmoud deve trovarsi un lavoro per poter proseguire il viaggio – si scopre una fiorente economia che specula sulle spalle dei più poveri fra i poveri.
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“Quelli che hanno paura” di Dima Wannous (Siria)

Damasco. Suleyma e Nessim si incontrano nella sala d’aspetto dello psicologo Camille, e si innamorano. Quando nel 2011 le loro strade si dividono, Suleyma rimane a Damasco con la madre, in attesa di avere notizie del fratello, Fu’ad, fatto sparire dal regime. Nessim, medico e scrittore, emigra, insieme al padre paralizzato e demente, in Germania: madre e sorella sono morte sotto i bombardamenti di Homs. Separati dalla polvere della violenza e dal rumore del mondo, Suleyma e Nessim continuano a sentirsi, legati dal proverbiale filo di un telefono. Suleyma riceve le bozze del nuovo romanzo di Nessim e un dato è assolutamente trasparente: la sua protagonista le somiglia in maniera impressionante – ha trent’anni, è stata o forse è ancora paziente di Camille e, soprattutto, è dominata da una forma di paura strisciante, che la induce a trasferirsi a Beirut. Suleyma, che ha le chiavi dell’appartamento di Nessim, fa alcune sconcertanti scoperte. Prima trova il necrologio che il compagno aveva scritto per lei e altri suoi cari, anche se erano ancora tutti vivi; poi trova le fotografie di altre donne. Come può continuare ad amare Nessim? Non lo ha forse solo idealizzato? Suleyma va più in là e riesce a identificare, complice la segretaria di Camille, la possibile protagonista del manoscritto: si chiama Salma e vive a Beirut. Decide di andare a trovarla quasi fosse un incontro con se stessa: e infatti, all’appuntamento, ritrova in lei la sua stessa ansia, la sua stessa paura. A quel punto potrebbe fuggire, e invece decide di tornare a Damasco dalla madre. Si riconsegna, così, consapevolmente, alla paura che è anche la paura di tutta la sua generazione e, di fatto, le appartiene e la tiene viva.
“Il mago dei corvi” di Ngugi Wa Thiong’o (Kenya)

Il Presidente dell’Aburiria – poverissimo paese africano vessato dalla dittatura – soffre di una strana malattia: l’uomo vorace e senza scrupoli che ha instaurato un governo repressivo fondato sulla paura, ora fluttua nella stanza del trono, gonfio a dismisura e incapace di parlare. Nessuno può curarlo, tranne il famigerato Mago dei corvi: un giovane stregone di nome Kamı˜tı˜, noto tra la gente per le sue straordinarie facoltà magiche. Nel paese intanto, mentre il governo avvia la costruzione di un’opera faraonica – la Marcia verso il Paradiso, una sorta di moderna Torre di Babele – esplode la protesta guidata dal Movimento per la Voce del Popolo, di cui fa parte la bella Nyawı˜ra, che lotta clandestinamente per i diritti delle donne, per i poveri e la libertà. È così che proprio sul Mago dei corvi si concentrano le speranze di tutti: ragazzi e anziani, ribelli e reazionari, esponenti della rivolta e ministri – ogni fazione vorrebbe approfittare degli infallibili poteri del Mago. L’incontro con Nyawı˜ra segnerà per entrambi l’inizio di un’avventura: lei, accusata di essere una sovversiva, è il nemico numero uno del governo; lui invece è ricercato dalle autorità per curare il male del Presidente, venendo così chiamato a una scelta difficile. Accetterà di piegarsi al potere o preferirà lottare per il suo paese? Ngu˜gı˜ wa Thiong’o, tra i maggiori scrittori africani e attivista politico, ci regala un romanzo intenso ed entusiasmante: tra rivolgimenti politici, magie, leggende e amori rivoluzionari, dà vita a un mondo dal fascino irresistibile e attuale, in cui la satira sul potere e le sue derive autoritarie si trasforma in un inno alla libertà contro le dittature di ogni epoca e ogni luogo.
“Scrivere per la pace” di Ngugi Wa Thiong’O (Kenya)

Per oltre sessant’anni, Ngu˜gı˜ wa Thiong’o ha scritto dell’Africa con indomito coraggio, affrontando domande, ponendo sfide, raccogliendo storie e provando a immaginare un futuro possibile per il suo continente. Nella sua ampia produzione letteraria, Scrivere per la pace rappresenta il punto più alto della sua riflessione saggistica, raccogliendo per la prima volta i testi scritti dall’autore in oltre tre decenni su una vasta area di tematiche: dal ruolo dell’intellettuale alle violenze coloniali, dal tradimento dittatoriale dei processi di decolonizzazione, alle lotte politiche in un’era di capitalismo rampante, dalle più attuali eredità della schiavitù fino alle uniche prospettive possibili per la pace e l’eguaglianza. Capace di definire un volto vivido ed estremamente contemporaneo del continente africano in un momento storico in cui da esso emergono le sfide più difficili cui l’Europa, l’America e l’Asia devono trovare risposte, questo libro ci ricorda la potenza dell’opera di Ngugı˜wa Thiong’o e offre una riflessione chiara e coraggiosa, tesa a fare della letteratura uno strumento per migliorare il mondo: Scrivere per la pace è, per questo, una lettura indispensabile.
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