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Ne “Il cielo di Mercurio”, Muhammad Iqbal si esporrà più che mai riguardo alla politica, portando due ospiti d’eccezione quali al Afghani e Said Halim Pasha. In questo testo, in particolare, scopriremo il suo pensiero su comunismo e capitalismo
Al Afghani
Comunismo e capitalismo
[…]Entrambi hanno anime insofferenti e impazienti, entrambi ignorano Dio ed inganno gli uomini. La vita per l’uno è produzione, per l’altro riscossione delle tasse: l’uomo è come un vetro in mezzo a queste due pietre!
L’uno porta alla rovina scienza, religione ed arte, l’altro rapisce l’anima al corpo, il pane alla mano. Li vedo ambedue annegati nell’acqua e nel fango, ambedue hanno il corpo luminoso ed il cuore oscurato; ma vita significa ardere e costruire nell’azione, gettare nella polvere il seme del cuore!
Attraverso le parole di al Afghani, uno dei più grandi pan-islamisti dell’Ottocento, Muhammad Iqbal espone le proprie idee riguardo alla politica concentrandosi, in questo caso, sulle due ideologie protagoniste del suo tempo: comunismo e capitalismo. Nel brano (di cui ho qui riportato solo l’ultima parte), Afghani chiamerà Marx “profeta senza Gabriele” in quanto: “la Verità è infatti implicita nel suo Errore: il suo cuore è credente, il suo cervello è ateo.“. Il poeta rimprovera infatti al comunismo il suo saziarsi alla mera sopravvivenza cosa che, per quanto eticamente sacrosanta, da sola non permette all’uomo di elevarsi nella propria condizione. Il ragionamento sul comunismo verrà poi concluso da questa frase: “La religione di quel profeta che non riconobbe Dio è basata sull’uguaglianza del ventre, mentre la fratellanza ha seggio nel cuore; nel cuore la sua radice, non in acqua e fango!”

Sul capitalismo l’opinione di Iqbal è invece negativa in toto, in quanto affermerà: “Ed anche il capitalismo consiste nell’ingrassare il corpo, il suo petto privo di luce è vuoto anche di cuore! Come l’ape che pascola sul fiore, esso lascia il petalo e porta via il miele[…]”
Said Halim Pasha
L’Oriente e l’Occidente
Per gli occidentali l’intelligenza è il patrimonio della vita, per gli orientali l’amore è il segreto del creato. L’intelligenza riconosce Dio per mezzo dell’amore, l’opera dell’amore trova fondamento solido nell’intelligenza. Quando l’amore si accompagna all’intelligenza ha la forza di plasmare un altro mondo. Levati, dunque, e inizia il disegno di un nuovo mondo, fondi insieme amore ed intelligenza.
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La fiamma degli europei è una vampa tremante, i loro occhi sono veggenti ma morti i loro cuori! Si son feriti con la loro spada; preda di se stessi, si son sgozzati con le loro mani. È inutile cercare ardore ed ebrezza nella loro vigna; nei loro cieli non c’è un secolo nuovo! Il bruciar della vita viene dal tuo fuoco, creare un mondo nuovo è opera tua!
Said Halim Pasha
In questo testo vediamo una prima “critica” al mondo occidentale, che sarà spesso pietra di paragone nel resto dell’opera. In questo caso l’osservazione è figlia di quella precedente su comunismo e capitalismo, mostrando ancora una volta come l’uomo occidentale sia spesso vittima della forma, fuggendo dal concetto. L’occidentale è intelligente, ma ha finito per sopravvalutare il proprio intelletto, negando così a sé stesso il sentiero dell’Amore e condannandosi a vivere da “zombie ben vestito”, dai tanti mezzi a senza cuore. Inutile, allora, cercare la poesia della vita nella loro vigna, son destinati a spegnersi in quanto il loro fuoco sacro ha smesso di battere.
Nella seconda parte, Said Halim Pasha criticherà aspramente Atatürk per il suo aver svenduto l’anima turca in cambio di nuovi “vestiti occidentali”, facendo così morire dall’interno il proprio paese, condannato a seguire il destino europeo. Said Halim Pasha fu gran vizir proprio durante la caduta dell’Impero ottomano ed è molto probabile che abbia fatto davvero simili discorsi.
Le fondamenta del mondo coranico
[…] O tu, la cui religione il secolo nostro ha privato della sua luce, dirò ora a te scopertamente i segreti velati. Il piacere è creare un fuoco entro il corpo: la società intera si illumina del suo splendore. Chi ha parte in questo fuoco lo conserva gelosamente, ad ogni istante rimira il suo disegno, perchè la sua tavola non s’impregni dell’opera d’un’altra mano.
L’Eletto scelse la sua solitudine sul monte Hira: per molto tempo non vide altri che se stesso. Il nostro disegno gli fu versato nel cuore e dalla sua solitudine fu spronata una nazione. Si potrà rinnegare Dio, ma non si potrà mai rinnegare la gloria del Profeta! Se anche tu avessi un animo limpido come colui che parlò con Dio (Mosè), i tuoi pensieri sarebbero sterili, senza la solitudine! Il ritiro fa l’immaginazione: più viva, più ansiosa, più creatrice!
Jamal ad-Din al Afghani
Dopo aver terminato la parte più politica e di confronto, al Afghani mostrerà al poeta (nel frattempo rinominato da Rumi “Zinda-rod”, ovvero “Fiume vivo”) quelle che sono le fondamenta dell’islamismo. Il filosofo Pashtu parlerà infatti de: “L’uomo come vicario di Dio sulla terra“( da cui è tratto il brano precedente), la liberazione attraverso la sottomissione Dio, l’uguaglianza nella fede ed il ruolo della scienza. Nel testo citato, in particolare, Iqbal porta una riflessione riguardo al ruolo dell’uomo rispetto a Dio ed al valore della solitudine, elemento fondamentale di tutti i grandi profeti.
Domani una nuova puntata con protagonisti d’eccezione fra cui quali: Baal, lord Kitchener ed il Faraone. Seguiteci sulla nostra pagina facebook, Spotify, YouTube, Twitter e Instagram, oppure sul nostro canale Telegram. Ogni like, condivisione o supporto è ben accetto e ci aiuta a dedicarci sempre di più alla nostra passione: raccontare il Medio Oriente.