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Uno dei libri più incredibili che abbia mai letto; “Il poema celeste” di Muhammad Iqbal ci porterà al di là del Bene e del Male, in quel leggendario “campo” citato da Rumi che, non a caso, sarà suo accompagnatore in questo viaggio
“Il poema celeste” di Muhammad Iqbal
Rumi: “Amore significa assalto al Senza Luogo, significa fuggire dal mondo senza aver visto la tomba! La forza dell’Amore non attinge a vento, terra o acqua, la sua robustezza non proviene dalla durezza dei nervi. L’Amore conquistò Khaibar con un pane d’orzo, l’Amore produsse una spaccatura nel corpo della luna!
Spezzò senza colpo ferire il cranio di Nimrod, sconfisse senza guerra l’esercito del Faraone. L’Amore è nell’anima come la vista nell’occhio: sa vedere sia dentro, sia fuori. L’Amore è sia cenere che scintilla, esso opera oltre la religione e la scienza. L’Amore è sovrano e Prova Evidente, ambedue i mondi sono sotto i suoi ordini regali.
È oltre il Tempo, e l’ieri ed il domani derivano da lui; è Senza Luogo, e l’alto ed il basso da lui provengono. Quando chiede a Dio la forza del Sé, tutto il mondo si fa destriero ch’Egli cavalca. È lui che meglio manifesta l’importanza del cuore, è lui che rende vana l’attrattiva di questo vecchio palazzo cadente del mondo.
“Il poema celeste” di Muhammad Iqbal
Muhammad Iqbal
Dal retro del libro: “Muhammad Iqbal, considerato dai pakistani l’antitesi e l’annunciatore del proprio stato, nato come soluzione ai secolari problemi confessionali che travagliavano l’India. Ma Iqbal è anche uno dei più notevoli poeti del moderno subcontinente indo-pakistano; e oltre che poeta fu filosofo, forse l’unico fra i filosofi riformatori musulmani moderni di tendenze vitalistiche ed irrazionalistiche, tendenze che egli aveva assorbito mediante un ripensamento della sua cultura tradizionale indo-musulmana e la conoscenza profonda della filosofia contemporanea europea.

Laureatosi nei primi del secolo a Cambridge e a Monaco di Baviera, conobbe come pochi suoi correligionari il pensiero occidentale. Ammiratore di Dante, di Milton e sopratutto di Goethe, imitò in forme nuove il loro viaggio ultramondano nel Poema Celeste. L’importanza di Iqbal, che nei momenti di grazia, quando il contenuto nuovo riesce a plasmarsi assieme alla delicata forma tradizionale, sa essere poeta altissimo, è sopratutto in questa sua “duplicità”: buon musulmano ed insieme interprete dell’Islam in forme rivoluzionarie e moderne, poeta tradizionale e nel contempo cantore delle infinite possibilità ulissiche dell’uomo, rivoluzionario nei contenuti, ma conservatore nelle forme. Tutto ciò ne fa una delle più originali personalità non solo dell’India e del Pakistan, bensì di tutto l’Islam moderno. “
“Al di là del Bene e del Male c’è un campo, ti aspetterò laggiù”
PAZZESCO. In questo caso tocca davvero utilizzare tale aggettivo per quella che, molto probabilmente, è l’opera più bella da me letta quest’anno ed una delle più belle in assoluto. Muhammad Iqbal riesce continuamente a fondere con strabiliante maestria elementi appartenenti ad aree e luoghi completamente diversi, mostrando quanto la loro bellezza cresca nell’unione, riuscendo solo allora a divenire perfezione. Il testo prende spunto dal Miraj, trasformandosi letteralmente nel “campo” a cui alludeva Rumi nel suo leggendario verso.

Non a caso sarà lo stesso mistico sufi ad accompagnare il poeta in questo viaggio celestiale, nel quale si spingerà letteralmente al di là del Bene e del Male, incontrando alcune delle figure più incredibili del mondo islamico e non (fra i grandi omaggiati è presente addirittura Nietzsche). Con questo testo Muhammad Iqbal trascina il lettore in viaggi profondissimi all’interno di sé e della fede, portando riflessioni degne del suo accompagnatore. Un libro da avere assolutamente e, se non trovato, merita una ricerca approfondita per il suo incommensurabile valore intellettuale; la traduzione di Bausani è sicuramente una delle chiavi per godere al meglio quest’opera. Nei prossimi giorni ne approfondiremo nel dettaglio alcuni contenuti, non mancate.
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