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Alla ricerca del giusto regalo per natale? Potremmo fare al caso vostro: vi proponiamo i 10 libri più belli del 2019 di Medio Oriente e Dintorni. In fondo all’articolo trovate anche la lista dei regali di Amazon, appuntamento a giovedì con la nostra “letterina di Natale”
“Palazzo Yacoubian” di ‘Ala al Aswani (Egitto)
Costruito negli anni trenta da un miliardario armeno, Palazzo Yacoubian contiene in sé tutto ciò che l’Egitto era ed è diventato nei settantacinque anni da quando l’edificio è sorto in uno dei viali del centro. Dal devoto e ortodosso figlio del portiere che vuole entrare in polizia, ma che finirà ad ingrassare le già folte file islamiste, alla sua fidanzata, vittima delle angherie dei padroni; dai poveri che vivono sul tetto dell’edificio e sognano una vita più agiata, al gaudente signore aristocratico, poco timorato di Dio e nostalgico dei tempi di re Faruk; dall’intellettuale gay con la passione per gli uomini nubiani, che vive i suoi amori proibiti nemmeno troppo clandestinamente, all’uomo d’affari senza scrupoli del pianterreno che vuole entrare in politica. Ciascuno di questi personaggi si ritroverà a compiere delle scelte; quale sia l’esito starà al lettore deciderlo.
“Il verbo degli uccelli” di Farid ad Din Attar (Persia)
“Vennero un giorno a parlamento tutti gli uccelli della terra, i noti e gli ignoti. “Non esiste luogo al mondo”, dissero, “che non abbia un re: perché mai sul nostro paese non regna un sovrano? Se ci uniamo in fraterno sodalizio, potremo partire alla ricerca di re, essendo chiaro che l’ordine e l’armonia non regnano tra sudditi privi di un sovrano.” Fu allora che l’Upupa, eccitata e trepidante, balzò al centro dell’inquieta assemblea. Sul petto portava la veste di chi conosce la via, sul capo la corona della verità. Lungo la via aveva affinato la mente, era venuta a conoscenza del bene e del male. “Amici uccelli”, cominciò “in verità io sono il corriere della divina maestà, il messaggero dell’Invisibile…”” Questo l’incipit de “Il verbo degli uccelli”, considerata il capolavoro di Farid ad Din Attar, maestro dell’ancor più celebre Rumi (o Mevlana se siete turchi). L’opera usa come stratagemma narrativo la ricerca degli uccelli, al fine di portare il lettore in un vero e proprio percorso mistico. I volatili saranno infatti convinti dall’Upupa nel mettersi alla ricerca di Simurgh, leggendario re degli uccelli della mitologia persiana, posto a guardia dell’albero dei semi ed a quello dell’immortalità.
“Arabi Invisibili” di Paola Caridi (Italia)
Il mondo arabo continua anche oggi a vivere, oltre il velo dei nostri pregiudizi. In una fascia cangiante che va da Casablanca a Riyad si muovono milioni di arabi invisibili, schiacciati dal peso di uno stereotipo ormai imperante in Occidente, per il quale tutti coloro che hanno un passaporto mediorientale o nordafricano sono potenziali terroristi, kamikaze, seguaci di Osama bin Laden. Il catalogo odierno degli arabi invisibili, invece, è lungo, variegato, sorprendente. Ne fanno parte ragazzi che usano Internet, professionisti educati nelle nostre università, cineasti e fior di scrittori. Se la lista degli arabi che non conosciamo fosse solo questa, però, saremmo al semplice elenco di quelli bravi, buoni e simpatici. Bisogna, invece, superare il muro, e osservare quella lunga teoria di uomini e donne a cui l’Occidente non riconosce volto e fattezze: quelli che si fanno in quattro per mandare i figli a scuola, che inondano la regione delle rimesse del loro lavoro, che fanno cultura tra le maglie della censura e opposizione tra le costrizioni dei regimi. Scritto nel 2009.

“Nedjma” di Yacine Kateb (Algeria)
Quattro amici, Rachid, Lakhdar, Murad e Mustafà sono ossessionati dall’amore di una donna, Nedjma, sposa di Kamel. Un mistero circonda la nascita di costei: affidata da piccola ad una madre adottiva, è figlia di una francese successivamente rapita da quattro amanti, tra i quali il padre di Rachid e un prestigioso seduttore, Si Mokhtar. Nedjma viene concepita durante una fatidica notte in qui questi due ultimi personaggi avevano condotto la francese in una grotta dove, la mattina seguente, si ritroverà il cadavere del padre di Rachid. Rachid seguirà dunque Si Mokhtar e risparmierà il presunto assassino del padre, poichè ossessionato dal desiderio di conoscere la verità su Nedjma, forse sua sorella o figlia di Si Mokhtar. Il seduttore, poi, è anche il padre di Kamel: non ha potuto impedirgli di sposare la ragazza, sotto pena di rivelare il dramma e il mistero della sua nascita. Dopo un pellegrinaggio alla Mecca, Rachid e Si Mokhtar decidono di rapire Nedjma al suo sposo incestuoso e di condurla all’inaccessibile montagna dove vivono gli ultimi sopravvissuti della loro tribù. Nedjma compie così il suo destino. Dopo vari infortuni i due amici si ritrovano a lavorare in un cantiere. Qui Lakhadar ha uno scontro brutale con il capocantiere, viene arrestato e riesce ad evadere. Poco dopo anche Murad viene arrestato perchè ha ucciso il vecchio e sordido imprenditore, dalla cui giovane moglie, Suzy, è rimasto colpito. Più tardi Rachid, disertore, ritroverà Murad in prigione. Ciascuno resterà ossessionato dalla presenza di Nedjma continuamente evocata: nelle notti e nei giorni di prigionia di Murad, nel diario di Mustafà, nelle conversazioni di Rachid con uno sconosciuto.

“Una piccola morte” di Mohamed Hasan Alwan (Arabia Saudita)
In questo ambizioso romanzo, Mohamed Hasan Alwan ci conduce in un’epoca lontana, a cavallo tra il XII e il XIII secolo, ricostruendo passo dopo passo e con dovizia di particolari la vita del “sommo maestro” Muhyi-d-din Ibn ‘Arabi, uno dei più grandi sheikh sufi di tutti i tempi, filosofo, mistico e poeta la cui opera ha influenzato molti intellettuali e mistici tanto in Oriente quanto in Occidente (secondo alcuni studiosi avrebbe influenzato, seppur indirettamente, anche Dante Alighieri e San Giovanni della Croce). In apertura del romanzo, Alwan immagina Ibn ‘Arabi, in eremitaggio su una montagna in Azerbaigian, intento a scrivere la propria autobiografia. Le pagine che seguono ripercorrono, sotto forma di narrazione in prima persona, l’intera vita del mistico musulmano, sempre legata a doppio filo agli eventi storici e politici dell’epoca, che hanno influito, spesso in modo diretto, sul suo vissuto quotidiano e sul suo percorso esistenziale.
“La terrazza proibita” di Fatema Mernissi (Marocco)
”Venni al mondo nel 1940 in un harem di Fez, città marocchina…”. Così Fatema Mernissi, una della voci femminili più eloquenti del mondo islamico, apre quest’intensa memoria d’infanzia. L’harem dove la piccola Fatema cresce è molto diverso dai favolosi serragli dei sultani: è piuttosto un’ampia, splendida casa ricca di cortili fioriti e fontane, di stanze ovattate da tendaggi e tappeti, dove convivono le famiglie di due fratelli insieme a molte donne con loro imparentate e ai servitori. Tuttavia, resta un luogo in cui le donne sono sottomesse a precise regole imposte dagli uomini, prima fra tutte quella di non varcare i sacri confini delle mura domestiche.
“Le civiltà del disagio” di Mohsin Hamid (Pakistan)
«Se la globalizzazione ha da prometterci qualcosa, qualcosa che possa spingerci ad accogliere a braccia aperte il caos che ne deriva, allora quel che ha da prometterci è questo: saremo piú liberi di inventare noi stessi». Con tale dichiarazione di intenti si apre questa raccolta di articoli e brevi saggi di uno dei piú provocatori e stimolanti narratori del nostro tempo. Ma nel mondo globalizzato abbiamo davvero la libertà di inventare noi stessi? Tutto sembra indicare il contrario, perché ogni pretesto è buono per imprigionarci in quelle «illusioni dilaganti, pericolose e potenti» che portano il nome di civiltà. Hamid lo chiama il giogo del depistaggio: «Ci viene detto di dimenticare le fonti del nostro disagio perché c’è in gioco qualcosa di piú importante: il destino della nostra civiltà».exit west E cosí finisce per sembrarci inevitabile che provare inutilmente a respingere l’immigrazione e a sigillare le frontiere sia piú importante che porre rimedio al disordine economico e alle crescenti disparità sociali. Muovendosi fra i ricordi personali e la riflessione politica, fra la letteratura e la cronaca, Hamid guarda al mondo che ci circonda con gli occhi di uno scrittore cresciuto fra il Pakistan e gli Stati Uniti, vissuto a Londra e tornato di recente ad abitare a Lahore. E leggendolo noi scopriamo che forse è possibile liberarsi dal giogo del depistaggio, e «mettersi insieme per inventare un mondo post-civiltà, e quindi infinitamente piú civile».

“Le cose crollano” di Chinua Achebe (Nigeria)
Okonkwo è un guerriero, un lottatore, un uomo ambizioso e rispettato che sogna di divenire leader indiscusso del suo clan. Dal suo villaggio Ibo, in Nigeria, la fama di Okonkwo si è diffusa come un incendio in tutto il continente. Ma Okonkwo ha anche un carattere fiero, ostinato: non vuole essere come suo padre, molle e sentimentale, lui è deciso a non mostrare mai alcuna debolezza, alcuna emozione, se non attraverso l’uso della forza. Quando la sua comunità è costretta a fronteggiare l’irruzione degli europei, l’ordine delle cose in cui Okonkwo è nato e cresciuto comincia a crollare, e la sua reazione sarà solo il principio di una parabola che lo porterà nella polvere: da guerriero temuto e venerato, a eroe sconfitto, oltraggiato.

“L’Infelicità araba” di Samir Kassir (Libano)
«Questo libro-manifesto porta in sé la forza di un testamento e la forza visionaria di un inizio. Nel drammatico amalgama tra fine individuale e inizio collettivo, Samir Kassir condensa il suo percorso di avvicinamento a una nuova Rinascita araba, che difenda la modernità e che rilegga la cultura araba contemporanea con spirito critico rinnovato. Il testamento, che ridisegna l’immagine dell’intellettuale, definendolo una coscienza libera da tutti i vincoli che non siano l’impegno per la libertà e la difesa della verità cosí come l’intellettuale se la rappresenta. E l’inizio, che ha coniato grandi modelli che ci chiedono di essere oltrepassati e perfezionati, perché devono essere portati a maturazione da un lavoro storico-culturale che si metta all’opera per rompere il cerchio dell’infelicità araba. È per questo che il lettore sente di essere davanti a un grido che chiede libertà e democrazia. A lanciarlo è un giornalista che vive gli eventi. A fargli assumere forma è uno storico che elabora la memoria. E in questa fusione si afferma l’unicità di Samir Kassir».
Elias Khoury

“Come la ferita di una spada” di Ahmet Altan (Turchia)
Il romanzo racconta le vicende riguardanti Mehpare Hanim, donna misteriosa e affascinante, capace di sedurre persino Sheikh Yusuf Effendi, illustre maestro di una scuola di dervisci. Resosi conto dell’anima della sua sposa lo Sheikh sarà però costretto a separarsene, pur senza smettere di pensarla. Mehpare Hanim troverà presto un nuovo amore in Hüseyin Hikmet Bey, figlio del medico ufficiale del sultano e fresco di ritorno dalla Francia, dove si è formato secondo i costumi occidentali. L’unione di queste 2 anime sarà però resa inconciliabile dall’animo di Mehpare e dall’imminente trasformazione del Grande Malato, l’Impero Ottomano che sta vivendo i suoi ultimi attimi di vita. Toccherà all’Organizzazione per l’Unione e Progresso trasformarlo o sarà lei stessa il suo carnefice?
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