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La storia dei tatuaggi amazigh si intreccia profondamente con quella del Marocco, narrandone, de facto, la Storia. Per comprendere come sia cambiato il paese nell’ultimo secolo, infatti, basta osservare le proprie nonne, glielo si legge in faccia.
Da prima dell’Islam
La tradizione del tatuaggio presso gli amazigh ha radici antichissime, addirittura precedenti all’Islam. Sembra, infatti, che la pratica fosse abbastanza comune presso tutto il Nord Africa, tanto che gli stessi cartaginesi ne facevano uso. Alcuni di questi simboleggiavano voti verso le divinità, molti di più, però, erano associati a tribù e ad eventi passati da chi li “indossava”. Tale pratica si diffuse, poi, sopratutto presso gli amazigh che custodirono tale costume anche con l’arrivo degli arabi.
Di per sé l’Islam di per sé non dice nulla di particolare contro i tatuaggi, parlando di generali “modifiche del corpo”, tuttavia vi è un singolo hadith che li condanna apertamente. Tuttavia, essi continuarono ad esistere a lungo in Marocco, paradossalmente condannati dall’arrivo dei francesi e ad un incredibile stravolgimento demografico.
La demonizzazione del tatuaggio
Tradizionalmente sono sopratutto le donne delle zone rurali a colorare il proprio corpo, pratica anticamente presente nelle metropoli ma sicuramente meno diffusa. Con l’arrivo dei transalpini, furono aperti moltissimi bordelli, attingendo perlopiù dalle donne delle campagne, tendenzialmente più povere e meno istruite. Ciò fu il primo passo per allontanare il popolo dai tatuaggi, i quali iniziarono ad essere associati sempre di più con la prostituzione.
Con l’influenza sempre maggiore dei salafiti nel paese, si iniziò sempre di più a condannarli apertamente, relegandoli pratica del passato ed eliminandola gradualmente da quotidiano. Ad oggi, questo tipo di arte sta quasi per sparire, sostituita da una più banale, legata sopratutto al modello americano. Come per i tatuaggi con l’hennè, però, la loro storia ha legami profondissimi con il vivere quotidiano, tanto che fino ad un secolo fa era diffuso in gran parte della popolazione femminile.
Tatuaggi per raccontare la vita
In Marocco il tatuaggio era vissuto come un segno fondamentale per ogni rito di passaggio, un marchio inciso sulla pelle per non dimenticare ed assicurare buona sorte. La maggior parte di essi, infatti, non nasconde tanto “vessilli di tribù“, quanto più segnali di fertilità e fortuna, oltre che, naturalmente, la storia di chi li porta.
Tradizionalmente, infatti, ci si tatuava una volta raggiunta la pubertà, al matrimonio e a causa, magari, di un lutto. Non solo però, esso era associato alla maggior parte degli eventi che “meritavano una protezione” tanto che, paradossalmente, con l’arrivo dei francesi molte si tatuarono per difendersi da stupri. La pratica era estremamente comune, tanto che esistevano donne che tatuavano di professione, spostandosi continuamente di villaggio in villaggio. All’epoca, naturalmente, non esistevano particolari tinture, tanto che l’inchiostro era ricavato solitamente dalla linfa delle fogli di fagiolo, unito poi ad altre sostanze. Fortunatamente, con la riscoperta delle radici amazigh in molti si stanno interessando al tema, facendo sì che la memoria di queste pratiche non venga dimenticata.
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