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Da tempo volevamo raccontarvi della tragedia che sta avvenendo in Birmania, uno dei più grandi massacri di Stato dei tempi moderni. Vittime i Rohingya, una popolazione musulmana che abita da secoli nella regione al confine con il Bangladesh.
Rohingya

Per capire meglio la questione credo sia opportuno prima una panoramica su questo popolo e la loro cultura, informazioni necessarie al fine di comprendere meglio la situazione. I Rohingya sono un popolo che da secoli abita la regione di Rakhine, la regione della Birmania più vicina al Bangladesh. Dai loro vicini hanno preso la cultura e la religione, costituendo per questo un caso unico nel moderno Myammar.
Il paese infatti si rifà principalmente alla cultura tibetana sia come lingua sia come religione, proprio per questo la presenza del gruppo indo-ariano e musulmano non è mai stato gradito in questi luoghi.
Un odio antico

Le persecuzioni nei confronti di questo popolo ha origini antiche e risale fino al 1785, anno in cui i birmani conquistarono per la prima volta la regione, scacciando e uccidendo gran parte dei suoi abitanti. La situazione però cambiò con l’arrivo dei britannici che favorirono anzi l’immigrazione di stampo bengalese in Birmania.
L’arrivo in massa di indiani e musulmani aumentò notevolmente il razzismo nel paese, creando le basi di quello che sarà poi un vero e proprio massacro di massa. Già nel 1939 gli inglesi si videro costretti a stabilire un confine fra la comunità buddista e quella islamica nella regione, obiettivo fallito in seguito allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Lo scoppio del conflitto non fece altro che esasperare ulteriormente le tensioni, con i rohingya armati dal Regno Unito e i birmani dal Giappone.
Tragedia
Nel 1948 la Birmania ottenne l’indipendenza e con essa il Rakhine che divenne ufficialmente una regione del paese. Inizialmente la convivenza fu tesa ma pacifica, la ricaduta si ebbe però dal 1962 quando il generale birmano Ne Win fece il colpo di stato. Da allora inizia la tragedia.
“Per una legge sulla concessione della cittadinanza del 1982, essi non possono prendere la cittadinanza birmana. Non è consentito ai Rohingya di viaggiare senza un permesso ufficiale, di possedere terreni e, inoltre, sono tenuti a firmare un impegno a non avere più di due figli.”
«La libertà di movimento dei Rohingya è fortemente limitata e alla maggior parte di loro è stata negata la cittadinanza birmana. Essi sono anche sottoposti a varie forme di estorsione e di tassazione arbitraria; confisca delle terre; sfratto e distruzione delle loro abitazioni; e restrizioni finanziarie sui matrimoni. I Rohingya continuano ad essere utilizzati come lavoratori-schiavi sulle strade e nei campi militari, anche se la quantità di lavoro forzato nel nord dello stato Rakhine è diminuita negli ultimi dieci anni. […]
Nel 1978 oltre 200 000 Rohingya sono fuggiti in Bangladesh, in seguito all’operazione Nagamin (Re Drago) dell’esercito birmano. Ufficialmente questa campagna aveva lo scopo di “controllare ogni individuo vivente nello stato, distinguere i cittadini e gli stranieri in conformità con la legge e intraprendere azioni contro gli stranieri che si sono infiltrati nel paese illegalmente.” Questa campagna militare era mirata direttamente contro i civili e ha portato a omicidi diffusi, stupri e distruzione di moschee e ad ulteriori persecuzioni religiose. […]
Durante il 1991 e il 1992 una nuova ondata, di oltre un quarto di milione di Rohingya, è fuggita in Bangladesh. Hanno riferito che spesso erano costretti a sopportare il lavoro forzato, ma anche esecuzioni sommarie, torture, e stupri. I Rohingya sono stati costretti a lavorare senza paga da parte dell’esercito birmano su progetti infrastrutturali ed economici, spesso in condizioni difficili. Molte altre violazioni dei diritti umani sono state commesse dalle forze di sicurezza riguardo al lavoro forzato di civili Rohingya.»
Nel settembre 2017 il Tribunale Internazionale Permanente dei Popoli ha classificato quello attuato nei confronti dei Rohingya come inequivocabile genocidio, denunciando come “eufemistico” l’uso del temine “pulizia etnica” da parte dell’ONU.
Il silenzio rumoroso
Nell’ultimo periodo si sta parlando sempre di più di questa indegna situazione, con giornalisti tanto coraggiosi da sfidare persino il proprio governo, pur di raccontare la verità. Ciò che fa storcere il naso è proprio il nome di chi è al governo: Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991.

Con il suo insediamento al governo nel 2016, si sperava infatti che le violenze su questo popolo cessassero o che quanto meno avessero una decrescita, non è stato così. Le violenze anzi sono cresciute, così come lo sdegno internazionale per questa figura, forte con i deboli e debole con i forti. Con la sua politica ha infangato l’immagine di speranza che si era fatta cucire addosso, apparendo con il suo vero volto: un politico come tanti, che delusione.
Vi lasciamo il link il link alla pagina di Amnesty Italia sui Rohingya, informazioni sempre aggiornate su questa tragica crisi. Seguiteci sulla nostra pagina facebook, YouTube e Instagram, ogni like, condivisione o supporto è ben accetto e ci aiuta a dedicarci sempre di più alla nostra passione: raccontare il Medio Oriente.
Una vera tragedia umanitaria