Il mestiere di tradurre: Silvia Moresi

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La nostra intervista a Silvia Moresi, arabista e traduttrice di Undici pianeti di Mahmoud Darwish e di “Le mie poesie più belle di Nizar Qabbani”. Silvia è la mente dietro Atlante Letterario Arabo, la rubrica a tema Medio Oriente di Q Code Magazine, inoltre insegna lingua e letteratura araba in scuole pubbliche e private.

K: Da dove nasce la passione per l’arabo e il Medio Oriente?

S: Come per ogni cosa nella mia vita, sono arrivata al mondo arabo per una strada contorta. Quando ero piccola, mio padre, come geologo, collaborava con l’Università di Granada e quindi mi è capitato di visitare diverse volte l’Andalusia. Sono rimasta affascinata da subito, i profumi, gli orizzonti, l’architettura, tutto mi faceva sentire a “casa”. Ho iniziato ad appassionarmi alla Spagna, ma poi, quando ho visitato Barcellona, Madrid e altre città, non ho provato la stessa emozione. Mi sono spinta più a sud e ho capito che forse la mia “casa” era altrove, nella lingua e nella cultura araba.

Silvia Moresi
L’Alhambra a Granada

Questo, assieme al mio interesse e al mio impegno per la causa palestinese, mi ha spinta a iniziare lo studio dell’arabo tra il 2000 e il 2001, proprio nel momento in cui si parlava maggiormente dello scontro di civiltà, e l’arabofobia e islamofobia erano all’apice. Come al solito controcorrente, non mi sono accontentata del racconto dei media mainstream, e ho voluto capirci qualcosa studiando. È stato un amore immediato per la lingua, la letteratura, ma anche per la filosofia islamica, materia in cui mi sono laureata ma che ho poi abbandonato.
Alla traduzione ci sono arrivata, invece, seguendo la mia passione per la lettura; volevo dare la possibilità ai lettori italiani di conoscere la letteratura araba, una letteratura ricchissima, che non ha nulla da invidiare alle letterature europee. A questa motivazione se ne aggiunge un’altra più politica, perché la traduzione, per me, è spesso un atto politico. Attraverso la “mediazione” della traduzione, gli scrittori e gli intellettuali arabi possono finalmente autorappresentarsi, raccontare una storia altra, o meglio, raccontare la Storia dal loro punto di vista al pubblico italiano.

K: Di recente abbiamo avuto il piacere di leggere il tuo lavoro con “Undici pianeti” di Mahmoud Darwish; che esperienza è stata tradurre quello che, a gusto nostro, è uno dei più grandi poeti in assoluto?

Tradurre i versi di Mahmud Darwish è stato per me un grandissimo onore, oltre che per la sua grandezza come poeta, anche perché il suo pensiero è una parte importante della mia formazione culturale. Inoltre, dopo il fallimento della casa editrice Epoché, che aveva pubblicato molte delle sue opere, Darwish era quasi completamente sparito dagli scaffali delle librerie italiane. E io credo che, invece, i versi di questo grande poeta palestinese non siano solo sorprendentemente belli, ma anche necessari; le sue parole non lasciano scampo, ti scavano dentro e ti obbligano alla riflessione, quella politica, ma anche quella più strettamente personale.

Silvia Moresi
Nizar Qabbani

Devo ringraziare, quindi, la casa editrice Jouvence che, per la seconda volta, dopo l’uscita della raccolta poetica di Nizar Qabbani, ha avuto il “coraggio” di pubblicare in Italia poesia araba. Il coraggio, sì, perché molte case editrici tentennano quando sentono parlare di poesia, in generale, figuriamoci di poesia tradotta dall’arabo. Di solito, una delle motivazioni addotta dalle case editrici, riguardo questa indecisione, è che la poesia non interessi al pubblico e quindi non venda. Andando in giro per l’Italia per presentare i due libri da me tradotti, ho verificato l’esatto contrario. La poesia, anche quella tradotta dall’arabo, interessa al pubblico e può vendere, bisogna solo impegnarsi un po’ di più, parlare con la gente nelle librerie, nelle associazioni, fare uscire finalmente la letteratura araba dalle accademie perché non rimanga, come al solito, una lettura solo per specialisti del settore.Darwish

Per quanto riguarda Undici Pianeti, la sua traduzione è stata preceduta da un lungo lavoro di studio. Questa raccolta di Darwish, che fa parte della sua fase epico-lirica, è forse una delle opere più complesse ma anche più complete del poeta palestinese, quella che meglio chiarisce il suo pensiero su molte questioni e affronta tutti i temi a lui cari: il ruolo della poesia, l’esilio, l’identità, il concetto di straniero e, ovviamente, la Palestina. L’intero diwan è costruito su diversi piani temporali e spaziali, in cui la tragedia palestinese allarga i suoi confini, diventa la tragedia dell’umano, mescolandosi al racconto dell’esilio di arabi ed ebrei dall’Andalusia e al genocidio dei nativi americani. La “ricerca” delle diverse storie che Darwish ha nascosto e intrecciato in questo testo, e il tentativo di far riemergere queste storie contemporaneamente, sono state le maggiori difficoltà che ho incontrato nel processo traduttivo.

Il lavoro che ho svolto su quest’opera è stato molto diverso da quello fatto per la traduzione della raccolta poetica “Le mie poesie più belle” del poeta siriano Nizar Qabbani, uscito nel 2016 sempre per la casa editrice Jouvence.

Silvia Moresi
I temi e la lingua delle poesie di Qabbani sono più immediati, le parole sono lì per dire esattamente quello che significano, non nascondono quasi mai metafore o altre storie. La passione, l’amore, e i corpi sono descritti con tutta la loro forza e la loro potenza attraverso una lingua “trasversale”. Come affermava Qabbani stesso, l’arabo legge e scrive in una lingua, canta e parla in un’altra. Il poeta quindi utilizzò per i suoi versi una terza lingua poetica che aveva la saggezza e la gravità dell’arabo classico, e il colore, il coraggio e l’apertura della lingua quotidiana. Questa “semplicità” del linguaggio non corrisponde però ad una semplicità nella traduzione. Descrivere in italiano, senza cadere nella banalità, immagini semplici e superbamente riprodotte in questa “terza lingua”, è stato proprio il punto più faticoso di questo lavoro. Inoltre, se per Undici Pianeti lo studio pre-traduzione è stato soprattutto uno studio storico, per la raccolta di Nizar Qabbani è stato invece necessario uno studio approfondito della sua biografia, visto che persone e avvenimenti della sua vita diventano spesso spunti o temi delle sue poesie.

K: Abbiamo visto il tuo “Atlante Letterario Arabo” e siamo rimasti letteralmente incantati. Da dove nasce l’iniziativa e che obiettivi si pone?

S: “Atlante Letterario Arabo” è un progetto a cui tengo molto, nato grazie alla rivista Q Code Magazine che, da anni, svolge un ottimo lavoro giornalistico anche sul Medio Oriente. Christian Elia, direttore della rivista, a cui si deve anche il bellissimo titolo di questa rubrica letteraria, un paio di anni fa mi chiese se volessi collaborare con loro proponendo un mio progetto originale. La mia idea di raccontare la Storia di alcuni paesi arabi attraverso le pagine della letteratura trovò il suo pieno appoggio, e così è partita l’avventura dell’Atlante che oggi è anche tradotto in francese e pubblicato sulla rivista Orient XXI.

Silvia Moresi
Clarissa Veronico con Silvia Moresi durante una presentazione di “Undici Pianeti”

Questa, per me, non era una idea nuova ma rispecchiava il modo in cui io ho sempre pensato alla letteratura che per me è un sublime passatempo, ma anche un mezzo per provare a capire la Storia attraverso le storie degli altri. Inoltre, come ho scritto proprio in uno degli articoli della rubrica, in un periodo come questo, dominato dal “post-verità”, la fiction letteraria sembra necessaria perché si dimostra la testimonianza più aderente alla realtà; penso, ad esempio, al lavoro di propaganda pro-regime fatto da televisioni e giornali sulla guerra siriana.

Darwish
Mahmoud Darwish

La narrazione letteraria è necessaria poi per tutti quei popoli che hanno subito (e subiscono) il dominio coloniale, e che sono quindi “raccontati” dalla solita retorica razzista, che è alla base di ogni impresa di tipo coloniale, senza mai avere la possibilità di controbattere. Questo, oggi, è particolarmente vero e visibile in Palestina. Diceva Darwish che la Storia la scrivono i vincitori, ma è la letteratura a scrivere le storie delle vittime; e sono proprio queste storie che a me interessano.

Quindi, “Atlante Letterario Arabo” è una narrazione storica ma fatta attraverso la letteratura, che ha anche come obiettivo quello magari di fornire buoni consigli di lettura.

K: Qual è il lavoro di cui vai più orgogliosa e l’autore che hai sempre sognato di tradurre?

S: Per entrambe le domande ho una sola risposta. Il mio sogno l’ho già realizzato, ed era quello di poter tradurre i versi di Mahmud Darwish. È quindi Undici pianeti il lavoro a cui sono più affezionata e di cui vado più orgogliosa. Mi piacerebbe continuare a lavorare sui testi del grande poeta palestinese, anche perché ci sono ancora diverse sue opere non tradotte in italiano.

Ringraziamo ancora Silvia Moresi per la splendida intervista e non vediamo l’ora di poter leggere un suo nuovo lavoro; nel frattempo la potete trovare su: Facebook, sulla pagina di “Undici Pianeti”e su Q Code Magazine. Seguiteci sulla nostra pagina facebookSpotifyYouTubeTwitter e Instagram, oppure sul nostro canale Telegram. Ogni like, condivisione o supporto è ben accetto e ci aiuta a dedicarci sempre di più alla nostra passione: raccontare il Medio Oriente.

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