Airbnb e Israele, polemiche sui territori contesi

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Il noto sito per affitti ha deciso di eliminare dalla propria piattaforma tutte le case israeliane costruite sui territori contesi con i palestinesi. Dura le reazione della Knesset che vede questo come un attacco al paese, esultano tutte le agenzie umanitarie.

Airbnb

Una decisione improvvisa che non potrà non far parlar di sé in Medio Oriente. Ieri l’annuncio del sito di eliminare tutte le case nei territori contesi fra Israele e Palestina. L’azienda nel suo comunicato dice che al suo interno vi sono opinioni contrastanti in merito ma che:

Crediamo che viaggi che mettano in contatto persone abbiano un valore considerevole e noi vogliamo portare persone assieme.

Una risposta sicuramente condivisibile di Airbnb che sceglie così di porsi neutra di fronte ad un conflitto che, giustamente, non la riguarda da vicino.

Dure reazioni

Naturalmente le reazioni israeliane sono state durissime e provenienti persino dagli alti gradi del governo israeliano. Il ministro del turismo Yarin Levin ha minacciato ritorsioni contro la compagnia e il ministro degli affari strategici Gilad Erdan ha visto questo come un atto discriminatorio verso Israele.

Airbnb
La Knesset, sede del parlamento israeliano

La scelta della compagnia arriva in un momento delicatissimo per il governo Netanyahu che vede ogni giorno farsi sempre più forti le pressioni del movimento BDS. Le recenti dimissioni del ministro della difesa Avigdor Liebermann hanno indebolito sempre di più il governo che non è mai stato così fragile come oggi.

L’economia a far rispettare i diritti

La scelta della compagnia è condivisibile anche in termini di PR ed è più o meno la stessa cosa successa di recente a Sky con Asia Argento. Al giorno d’oggi difficilmente una compagnia opterà per schierarsi per una causa, in un mondo globalizzato infatti bisogna piacere a tutti e allontanare qualsiasi dubbio di imparzialità.

Airbnb
Foto di Mahmoud Ibrahim

Attenzione quindi a coloro che vedono ora Airbnb come la migliore amica della Palestina, non è così. Semplicemente l’azienda non vuole caos intorno alla sua immagine. Detto questo è una grande vittoria per i diritti umani che vedono sempre di più nell’economia l’unico valido alleato di fronte a governi troppo spesso inermi su certe tematiche.

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