Forever Pure, “Per sempre puri”

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2 ceceni acquistati dalla squadra dell’estrema Destra israeliana: odio, violenza e calcio in un film che vi farà riflettere.

 “Per sempre pura”

“Gennaio, 2013. Un trasferimento segreto porta 2 giocatori musulmani nel cuore d’Israele e nel club di estrema Destra Beitar Jerusalem F.C., dando via alla campagna più razzista nella storia dello sport israeliano. Una stagione e un club in crisi, come potere, soldi e politica facendo da carburante ad un club in una spirale fuori controllo.”

Questo è quello che cita la trama di questo documentario. Una storia vera in grado di sconvolgere il mondo per violenza e brutalità che questa pellicola mette in luce.

Un gennaio come tutti gli altri

Il gennaio del 2013 sembra come tutti gli altri a Gerusalemme. Il campionato si disputa principalmente fra le 2 squadre di Tel Aviv: Hapoel e Maccabi. Il Beitar è ormai molto lontano dal poter vincere qualcosa e deve attrezzarsi per non rischiare di retrocede. Il presidente Arcadi Gaydamak allora prende in mano la situazione: prende 2 calciatori dal Terek Grozny, squadra con cui intrattiene ottimi rapporti. I giocatori sono Dzhabrail Kadiyev e Zaur Sadayev. Tutti e due ceceni. Tutti e due musulmani. Il caos è infinito.

forever pureLa presentazione di Dzhabrail Kadiyev e Zaur Sadayev

Il Beitar è l’unica squadra in Israele a non aver mai tollerato di tesserare né arabi né musulmani ed è storicamente allineata con i gruppi quali Betar che vogliono uno stato unicamente ebraico. I due ceceni non sanno cosa li aspetta, non conoscono molto bene il calcio di questi luoghi, sono solo 2 giocatori normali che vogliono continuare a fare ciò che più amano al mondo. Qualcosa però non gli permette di farlo. Un’onda giallonera di razzismo invade ogni istante del loro soggiorno a Gerusalemme. Durante la conferenza stampa vengono fischiati, insultati ed umiliati dai tifosi presenti. Ed è solo l’inizio.

Un’anno tristemente indimenticabile

La frangia più estrema del tifo del Beitar, “La Familia”, si attiva. Distrugge prima gli uffici della società stessa, poi inizia a perseguitare i 2 calciatori. Li attende tutti i giorni al campo d’allenamento, intonano cori razzisti e li continuano a fischiare. Ogni tanto tentano addirittura di entrare in campo per picchiarli fisicamente. Solo una recinzione e un gruppo di bodyguard si oppone a quello che potrebbe essere un massacro. Lo choc per i calciatori è istantaneo e fulminante. Non sanno come comportarsi, si continuano a guardare intorno fra la paura e l’indecisione. I compagni di squadra provano le stesse emozioni. Una parte di loro è storicamente tifosa del Beitar e nel profondo condivide il fastidio di aver dei compagni tanto pesanti intorno. L’altra non sa che pesci prendere. Conoscono la storia di questo club, ma non pensavano che potessero arrivare a tanto.

forever pureUn ultras de “La Familia”

La storia si ripete giorno dopo giorno, sembrano essere più in forma dei calciatori stessi. Tutti i giorni “La Familia” si presenta e continua ad insultare e tentare di aggredire i giocatori. Le altre squadre non si curano di queste faccende, hanno altro a cui pensare e la vicenda passa in seconda fascia. I loro tifosi devono incoraggiare le proprie squadre a vincere o a salvarsi. Non hanno tempo per quella squadra di fascisti.

Il 3 marzo 2013

Il 3 marzo però accade un fatto che porterà il Beitar al centro dei riflettori. È la data dell’esordio di Sadayev. Appena entra in campo piovono fischi. I tifosi avversari pensano che siano rivolti a loro ed iniziano a fischiarsi a vicenda. Solo con il tempo è chiaro a chi stanno fischiando. Ogni volta che Zaur tocca la palla i suoi stessi tifosi iniziano ad intonare cori contro il proprio giocatore. Quando poi lo stesso ceceno segna sembra che il tempo si fermi. La violenza dei gialloneri si fa sempre più forte, tanto che l’allenatore è costretto a cambiarlo, preoccupato per la vita stessa di quest’ultimo. Adesso arrivano minacce di morte. È colpevole di aver segnato con una maglia per israeliani. È colpevole di averla sporcata con la sua anima lurida. È colpevole di essere il primo musulmano a segnare con la casacca del Beitar.

forever pureDopo il gol di Sadayev la curva del Beitar si divide, alcuni se ne vanno, altri iniziano a fischiare contro il loro giocatore

Dopo quella partita i media iniziano ad interessarsi da vicino della faccenda. Anche per un paese come Israele, storicamente in pessimi rapporti con i musulmani e gli arabi, questo è eccessivo. Va oltre ogni logica razionale. È dopo il 3 marzo che Maya Zinshtein, la regista del documentario “Forever Pure”, inizia ad interessarsi a questa storia.

L’incubo

Maya non ci può credere. Non può, in nessuna maniera. Quello che ha visto è di sicuro frutto di un incubo, qualcosa di brutto che non appartiene al mondo reale. Qualcosa però inizia a covare in lei il dubbio: e se invece fosse tutto vero ? Decide allora di toccare con mano la realtà della squadra di Gerusalemme, il giorno dopo prende l’aereo e giunge proprio nella città contesa. Vuole dormire con l’animo in pace e così inizia ad intervistare dei tifosi gialloneri. Nel giro di un’ora si sarà rasserenata e potrà godersi un bel viaggio nella città religiosa per eccellenza.

forever pureBeitar Forever Pure in lingua ebraica

Le cose non stanno così, quello che sente è sconcertante. “Non siamo razzisti ma è inaccettabile che un musulmano giochi per il Beitar!”o “Quei porci sporcano la maglia, quando s’inginocchiano per pregare stanno infangando qualcosa di sacro e che rappresenta il mio paese.” o semplicemente “Questa squadra rimarrà Forever Pure, per sempre pura”.

Una storia che non può essere tollerata

A giugno Zaur e Dzahabrail lasceranno per sempre Israele e il Beitar, preferiscono tornare nella loro Cecenia, tanto pericolosa quanto più sicura del loro soggiorno a Gerusalemme. La città che dovrebbe essere simbolo di pace e concordia per il mondo. La città che è caduta preda di un gruppi di esaltati e fascisti che non tollerano dei musulmani. La città che soffre da millenni è tornata a soffrire, stavolta per il calcio. Per degli esseri che è difficile definire tifosi ed è più facile chiamare animali. Esseri che hanno umiliato questo sport, facendolo ribaltare nel sonno.

Dopo quel viaggio Maya Zinshtein lavorò a lungo affinchè questa storia non passasse in secondo piano. Affinchè venga salvato qualcosa nella memoria della gente, poichè ciò che è capitato ai 2 ceceni possa essere solo un brutto sogno. Come quello che pensava di aver fatto Maya, come la realtà che si parò sotto i suoi occhi in quel lontano 2013, quando il calcio conobbe il peggior episodio di razzismo nella storia. Il documentario nel 2016 ha vinto al festival di Gerusalemme i premi di: miglior regia, miglior montaggio e il premio The Jewish Experience Awards come menzione d’onore.

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