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Tre storie per raccontare quello che è il conflitto più sanguinoso dal 45, storie di persone comuni ma che con la loro umanità ci hanno commosso
Ali Adnan, l’uomo che rifiutò la Roma per il fronte
“Il Gareth Bale dell’Asia”, “Il Roberto Carlos iracheno”. Questi i nomi che accompagnano una delle più grandi promesse nella storia del calcio medio-orientale. Rapidità, forza e tecnica, qualità che al giovane Alì non mancano. Titolo di miglior giovane asiatico del 2010 e un mondiale under 20 in Turchia da protagonista assoluto. Il suo nome è sulla bocca di tutti. Lo prende il Rizespor, una squadra turca della massima divisione. Il primo passo per diventare grande, il primo verso il calcio che conta. Le cose sembrano andare di bene in meglio. Roma, Napoli e Chelsea lo vogliono, non possono ignorare le qualità di un campione. Eppure succede qualcosa di imprevisto, qualcosa a cui mai nessuno aveva pensato.
Ali ha sempre più paura della guerra scoppiata in Siria, sente che potrebbe coinvolgere anche il suo paese e la sua famiglia. Il terrore cresce e lui compie una scelta inaspettata: va a fare volontariato al fronte. Inizialmente non ci credeva nemmeno il Rizespor. Pensavano volesse semplicemente passare del tempo con la sua famiglia a Baghdad, il suo agente però è chiarissimo: Adnan aiuterà il proprio Paese con un’attività di volontariato.
Negli accampamenti iracheni scoppia l’entusiasmo. Non ci credono nemmeno loro: solo chi è innamorato della sua gente rischierebbe la vita in questo modo, facendosi coinvolgere nel conflitto più sanguinoso di tutto il Medio-Oriente, a combattere contro l’Isis assieme agli uomini comuni, come uno chiunque. Anzi no, perchè lui non è come tutti, una forza così non è comune, è viscerale. Qualcosa che ci prende dal profondo e ci spinge a fare la cosa giusta, costi quel che costi, in barba al mondo e a coloro che di coscienza non ne hanno. No, Ali Adnan non è come tutti e basterebbe questo a dimostrarlo.
Dopo quell’estate Ali tornò al Rizespor, un anno di mercato perso ma senza rimpianti. I soldi non sono l’unica cosa nella vita per cui lottare. Nel 2015 lo acquista l’Udinese, primo giocatore iracheno in Italia e con una carriera ancora davanti per il “Bale di Baghdad”.
Abdel Basset Sarout, il coro della rivolta di Homs
Poche storie possono rivaleggiare con quella di Abdel, da giovane portiere dell’Al Karamah a leader della rivolta ad Homs, la sua città. Tutto inizia 7 anni fa, all’inizio della tragedia siriana. Sarout è una delle promesse più grandi del calcio in Siria, la primavera araba però cambia tutto. Una scelta difficile, sofferta, a momenti si sente quasi male, è tutto finito e nulla sarà come prima. Via i guantoni e al loro posto una bandiera della Siria che gli si cuce meglio addosso. Subito diventa il leader delle rivolte nella terza città più grande del paese. L’inizio è stentato, è visto sopratutto come la celebrità che si è unita alla rivolta, niente di più che un simbolo.
È poco dopo però che si vede il vero Leone. Quando gli uccidono in casa i 4 fratelli davanti ai suoi occhi, uno di questi gli muore proprio nelle braccia. No, nulla sarà come prima. Allora Abdel urla ancora più forte in piazza “Venite ad uccidermi, sparate se avete il coraggio, ma dormite tranquilli. Noi domani saremo ancora qua, non abbiamo paura dei vostri cecchini”. Il suo entusiasmo è contagioso, la gente accorre, anche solo per sentirlo, per aver il coraggio di resistere. Il governo è in crisi, quello che fino a poco fa era stato una scusa per distrarre la popolazione ora è uno dei nemici pubblici numero 1. Fanno di tutto per provare ad ucciderlo, 4 attentati scampati per un pelo, ma il mondo è con lui.
Riesce a coinvolgere Fadwa Soliman, una delle più importanti attrici siriane, alawita di nascita, dovrebbe stare dalla parte degli Assad ma non ci sta. Il richiamo di Sarout è più forte di un adhan e più incisivo dei dei copioni dei film a cui a preso parte. È una goduria per i ribelli, ad Homs voltano tutti la faccia al leader, gli occhi sono tutti per il portiere del Karamah. La sua storia fa il giro del mondo. Accorrono da ogni parte del Medio Oriente per sentirla. Il rischio di qualche bomba è il minimo per un personaggio come lui. Il regista Talal Darki ci fa anche un documentario: “Ritorno ad Homs”. Con quella pellicola vincerà innumerevoli premi, compreso il Sundance Festival nel 2014 come miglior documentario.
La leggenda del portiere di Homs continua. Dai cori allo stadio a quelli in piazza, inseguendo un sogno chiamato libertà. Abdel è morto l’8 giugno 2019 mentre stava combattendo contro l’esercito siriano.
Jassim Al-Nuwaiji, la speranza vive ancora
C’è una squadra nel sud della Turchia che ancora si batte per degli ideali. È una squadra strana, i suoi giocatori non hanno un altro posto dove andare e molti di loro sono profughi. È la “nazionale della Siria Libera”.
Qualche anno fa Jassim e dei suoi compagni hanno scelto di dedicare la loro carriera alla loro gente, rifiutando ingaggi e convocazioni di ogni tipo solo per poter allietare i loro compaesani profughi. Fu così che nacque questo strano team.
Nuwaiji è un uomo particolare, nel 2015 ha lasciato il suo club negli Emirati per venire a giocare qui. Le difficoltà son nate fin da subito, pochi finanziatori e nessun riconoscimento dalla FIFA. Con i giocatori costretti a vivere in un’unica casa tutti insieme. È però lì che Jassim ha ritrovato sé stesso e le proprie origini, lì, fra mille difficoltà e fatiche, lui è sicuro: “C’è ancora una speranza per la Siria libera e noi ne siamo la dimostrazione pratica.”
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